Governare l’Intelligenza Artificiale è una necessità: il ddl approvato dal Cdm è un passo avanti importante, che peraltro integra le linee dell’IA Act europeo. Ora però occorre aprire un dibattito parlamentare affinché anche le opposizioni siano coinvolte nella stesura finale del testo. Per il trattamento dei dati, occorre un organismo slegato dalla politica. Colloquio con il docente della Cattolica, Ruben Razzante
Via libera del Consiglio dei ministri al ddl sull’Intelligenza Artificiale. Il sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti rivendica il primato italiano nella legiferare su questo tema e in qualche modo conferma quanto detto dal docente di diritto dell’informazione all’Università Cattolica e consulente della Commissione anti odio al Senato, presieduta da Liliana Segre, Ruben Razzante. Nel suo ultimo libro, “Il governo dell’intelligenza artificiale. Gestione dei rischi e innovazione responsabile” (Cacucci), infatti il docente rimarca a più riprese proprio la necessità di “governare una rivoluzione dalla portata paragonabile all’avvento di internet, in modo da non arrivare impreparati”. Nella sua intervista a Formiche.net, proprio alla luce del voto di ieri, Razzante esprime come primo auspicio “un proficuo dibattito parlamentare che possa fornire al Paese uno strumento in cui tutti si possano riconoscere”.
Professor Razzante, governare l’IA è un’aspirazione legittima. Ma è possibile?
Certo che è possibile, partendo da un buon livello di consapevolezza e incentivando l’uso corretto dell’Intelligenza Artificiale. L’applicazione corretta, che mette al centro l’uomo deve essere valorizzata. Al contrario, va limitato l’uso dell’IA che in qualche modo potrebbe sostituire l’uomo e la centralità della persona.
Come arrivarci?
A mio modo di vedere occorre fare gioco di squadra e mettere assieme i diversi utilizzatori dell’Intelligenza Artificiale e farli collaborare. Mi immagino un dialogo permanente tra mondo produttivo, sistema formativo in senso ampio e istituzioni. In questo senso, il governo ha un ruolo centrale.
Proprio ieri il cdm ha licenziato il ddl sull’IA. Come valuta il testo?
All’esecutivo va riconosciuta una grande capacità nell’aver gestito la fase preparatoria. Ossia quella che ha portato alla stesura del testo del disegno di legge. Il testo è positivo e in qualche misura ricalca alcune linee contenute nell’IA Act europeo. Ma è solo l’inizio. Ora serve, ribadisco, un grande dibattito parlamentare per arrivare a un testo definitivo da approvare il più largamente possibile.
Sta suggerendo un confronto con le opposizioni?
Ma certo. È fondamentale che tutti gli italiani si riconoscano in questo testo all’esito del confronto parlamentare e, comunque, credo che anche le opposizioni possano dare un contributo importante all’integrazione del ddl. Nessuno deve prevalere sull’altro: vanno gettate le basi per un provvedimento che vada davvero a beneficio della collettività. Evitiamo il muro contro muro.
Resta da risolvere la questione del trattamento dei dati e a chi affidarla. Lei che idea ha?
Propenderei per la soluzione di affidare la tutela dei dati a un’autorità superpartes slegata dalla politica e dalla presidenza del Consiglio dei ministri. Sarebbe peraltro un modo per allinearci maggiormente alle linee contenute nell’Ia Act europeo che è scritto molto bene. Superare le barriere ideologiche è fondamentale per governare un fenomeno di queste dimensioni: serve una visione ventennale. In questo ambito, lo spoils system non funziona.
In quali ambiti di applicazione lei ritiene che il contributo dell’IA possa essere determinate anche nel breve termine?
Sicuramente in ambito sanitario, in particolare per quanto attiene alla medicina predittiva. Per questo il mio auspicio è che si organizzi un tavolo di confronto con le autorità sanitarie, con le università e con i centri di ricerca per valorizzare al meglio l’applicazione dell’Ia affinché sia davvero al servizio di cittadini e pazienti. Ma non solo. Penso che l’Ia possa essere anche un ottimo antidoto contro le fake news e possa essere adoperato come strumento di inclusione. L’IA può contribuire, ad esempio a rendere molto più fruibili anche i beni culturali di cui le nostre città sono ricchissime.