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Infowar e diplomazia per evitare il peggio tra Israele e Iran

Tra tattiche di dissuasione più indirette, informazioni di intelligence e comunicazioni diplomatiche incessanti, si cerca di evitare l’escalation. Ma l’Iran sembra aver deciso che attaccherà Israele

Due funzionari statunitensi hanno detto a CBS News che un grande attacco iraniano contro Israele – rappresaglia per il raid subito a Damasco – potrebbe arrivare già oggi, probabilmente includendo più di 100 droni e dozzine di missili puntati su obiettivi militari all’interno del Paese. I funzionari hanno affermato che sarebbe stato difficile per gli israeliani difendersi da un attacco di tale portata (si chiama “tecnica della saturazione”, ossia rendere il cielo pieno di vettori d’attacco per impedire alla difesa aerea di essere efficace contro tutti). E, pur sostenendo la possibilità che gli iraniani potessero optare per un attacco su scala minore per evitare una drammatica escalation, si ritiene che la loro ritorsione sia imminente – successo nel breve termine iraniano: aver creato hype nei media e timore tra gli israeliani.

Il senatore della Florida Marco Rubio fa la lettura più lucida di tutti: “L’Iran vuole lanciare un attacco su larga scala dal proprio territorio contro Israele. Israele risponderà immediatamente con un contrattacco ancora più duro all’interno dell’Iran. Quello che accadrà dopo sarà il momento più pericoloso in Medio Oriente dal 1973”. È un’affermazione significativa anche perché Rubio è il vicepresidente del Comitato ristretto sull’intelligence del Senato americano e come tale è un membro della “Gang of Eight”, gli otto leader del Congresso che vengono costantemente ragguagliati sulle informazioni più sensibili dell’intelligence americana.

“Negli ultimi giorni abbiamo monitorato i movimenti militari iraniani legati a un possibile attacco contro Israele”, dice ad Al Jazeera un funzionario americano, aggiungendo che “gli indicatori mostrano che l’Iran si sta preparando ad attaccare presto”. È questo flusso di informazioni che aggiunge preoccupazione. Ma anche speranza. La fuga di informazioni di intelligence da parte di funzionari statunitensi serve a prevenire, influenzare o alterare il corso dei piani di ritorsione. Era già successo nel nel 2022, quando Teheran avrebbe dovuto attaccare il regno “nel giro di 48 ore”, ma quell’attacco non ha mai avuto luogo.

Le fughe di notizie strategiche facevano parte degli strumenti utilizzati nell’information warfare. Servono a dimostrare a Teheran che gli Stati Uniti stanno guardando, osservano le comunicazioni e sono pronti a ogni circostanza – dunque sono pronti anche alle reazioni, come filtra dalle due telefonate tra ministri della Difesa e dalla visita del capo del CentCom, Eric Kurilla, in Israele per coordinare con l’alleato (che sta diventando sempre più complicato) la situazione, anche se potrebbe essere limitata perché Qatar e Kuwait potrebbero non lasciare usare le loro basi per eventuali contrattacchi (come già successo nella reazione all’attacco subito nella Tower 22). Molte informazioni di intelligence erano state diffuse anche riguardo all’ammassamento di forze russe al confine ucraino tra gennaio e febbraio 2022. Anche in quel caso dovevano servire da dissuasione, ma Vladimir Putin non fu dissuaso.

Abbinata a questa comunicazione sofisticata c’è quella condotta dalla diplomazia. Nel giro di poche ore, nella giornata di giovedì 11 aprile, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, ha parlato con Arabia Saudita, Cina, Turchia. Nello stesso giorno, dal ministero degli Esteri iraniano sono partite telefonate verso Arabia Saudita, Regno Unito, Germania, Turchia. Si sta lavorando perché l’azione sia limitata e altrettanto lo sia la reazione.

Primi risultati: secondo le informazioni di al Monitor, il gabinetto di guerra israeliano ha scelto di reagire a qualsiasi attacco subirà per conto dell’Iran, ma se dovesse essere condotto tramite i proxy regionali avrebbe una risposta più contenuta. Fonti locali (assolutamente non confermabili) parlano della possibilità che l’attacco verrà sferrato dal Golan, tramite milizie siriane e irachene, con Hezbollah e i Pasdaran che potrebbero giocare un ruolo di coordinamento ma non diretto. Questo, nella pragmatica del conflitto, significherebbe evitare un’enorme escalation e potrebbe essere uno degli effetti del pressing diplomatico e di intelligence attorno al dossier.

Mentre questo articolo viene scritto, la Farnesina conferma che una “lunga telefonata” tra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il collega iraniano, Hossein Amir-Abdollahian (riaprendo contatti finora più freddi). Nella discussione è stata ribadita la posizione del governo in favore della pace e per la de-escalation e nell’evitare una regionalizzazione con Tajani che sottolinea nella dichiarazione a valle del colloquio di aver personalmente “esortato Teheran alla moderazione”, sottolineando la necessità di “garantire incolumità forze militari in Libano e delle nostre navi mercantili nel Mar Rosso”.

“Ho rivolto al collega iraniano un appello alla moderazione. Non possiamo rischiare una escalation in una fase estremamente volatile come quella attuale. Tutti gli attori regionali devono dare prova di responsabilità. L’Italia rimane in prima linea, anche come presidenza G7, per evitare un allargamento del conflitto in Medio Oriente, per abbassare la tensione e per facilitare il dialogo. Questo che viviamo è un momento decisivo per ritornare a una dinamica di pace nella regione”, spiega la nota della Farnesina.


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