Dopo una notte di guerra, l’alba della domenica prospetta una conflittualità in progress fra Israele e l’Iran. Ma con un bilancio strategico già definito. L’analisi di Gianfranco D’Anna
Sono solo dei terroristi militarmente impotenti, commentano a Washington e ai vertici della Nato dopo la costatazione che quasi tutti i missili e i droni lanciati nella notte dall’Iran contro Israele sono stati intercettati dal sistema difensivo e dai caccia americani, britannici e francesi.
“L’invincibilità sta nella difesa. La vulnerabilità nell’attacco”, teorizza da migliaia di anni il massimo stratega militare Sun Tzu. Una vulnerabilità ancora più grave perché come dimostra il plateale fallimento dell’attacco iraniano smaschera l’inconsistenza strategica del regime degli ayatollah.
L’analisi delle cinque ore di lanci notturni di droni Shahed e l’Ababi e di missili ipersonici Kheibar, evidenzia l’efficacia dell’azione combinata dei caccia di Gerusalemme, degli F18 decollati dalla portaerei americana Eisenhower in navigazione nel Mar Rosso, e dei jet militari inglesi e francesi, direttamente coordinati dal sistema di difesa aerea multidimensionale di Israele.
Sistema che prevede un insieme di apparati di rilevamento antimissile: Arrow, per i missili a lungo raggio, anche al di fuori dell’atmosfera; David’s Sling, per i missili a medio raggio; Patriot, per intercettare i missili Scud e per abbattere droni e aerei; Iron Dome, una cupola di ferro specializzata nell’intercettazione e nella distruzione di tutto ciò che vola, anche a pelo d’acqua o a bassissima quota.
Con l’assistenza satellitare e dell’intelligence americana, i sofisticati sistemi di difesa israeliani hanno intercettato quasi tutti i missili e i droni provenienti dall’Iran, dal Libano e dalla Siria, ma non hanno potuto impedire che venissero colpite postazioni e basi nel Golan nella regione di Arad nel sud di Israele. Colpita anche la base aerea israeliana di Nevatim, nel sud di Israele. Con effetti minimi: nessuna vittima, pochi danni e una decina di feriti.
L’attacco iraniano si è letteralmente disintegrato sull’ombrello difensivo israeliano ed ha evidenziato l’inconsistenza del potenziale offensivo del regime islamico, tutto slogan e terrorismo.
Le proporzioni dell’autogol di Teheran saranno ancora più evidenti quando Israele attaccherà a sua volta direttamente l’Iran.
Con un governo in bilico e la prospettiva di uscire per sempre di scena, attaccato dalle Nazioni Unite e dall’opinione pubblica, isolato internazionalmente per gli eccessi dell’offensiva a Gaza, al premier Benjamin Netanyahu non pare infatti vero poter acuire gli scenari bellici e continuare a galleggiare sul sangue delle vittime delle guerre e degli ostaggi.
Molto probabilmente, tuttavia, il contrattacco israeliano tenterà di colpire i siti sotterranei all’interno dei quali Teheran sta portando a termine la realizzazione dell’atomica iraniana. Un incubo che terrorizza il mondo.
“Quello che può accadere rappresenta il momento più pericoloso in Medio Oriente dal 1973, il quarto grande scontro del pluridecennale conflitto tra Israele e il mondo arabo”, prevedono gli analisti di strategie militari che temono un pingpong bellico, un botta e risposta di attacchi.
Per prevenire una escalation incontrollata si riunirà, su richiesta del Presidente americano Biden, il vertice del G7 presieduto dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Già grondante di sangue il coltello della guerra per la guerra resta tuttavia nelle mani di Netanyahu, che punta a completare l’offensiva a Gaza mettendo sottosopra Rafah e ad assestare un colpo mortale ad Hamas e al regime degli ayatollah, epicentro del terrorismo islamico internazionale.
Col rischio di innescare in Medio Oriente una sorta di nuovo effetto Sarajevo, l’attentato che scatenò la Prima guerra mondiale. Una situazione ingarbugliata che mette l’occidente con le spalle al muro ed innesta una crisi nell’altra sull’orlo dell’implosione.