Il memorandum sul contrasto alla manipolazione delle informazioni da parte di Stati esteri firmato a Capri è una buona notizia, che dimostra la strada fatta. Ma ce n’è ancora molta davanti. L’intervento di Laura Harth, campaign director di Safeguard Defenders
A margine del G7 dei ministri degli Esteri in corso a Capri, ieri Italia e Stati Uniti hanno firmato un memorandum d’intesa per rafforzare la cooperazione tra i due Paesi nel contrasto alla manipolazione delle informazioni da parte di Stati esteri attraverso la disinformazione e la propaganda.
In una nota diffusa dal dipartimento di Stato americano, la manipolazione delle informazioni viene definita come una minaccia transnazionale alla sicurezza che può creare o sfruttare divisioni all’interno e tra i Paesi, mettere in pericolo l’integrità elettorale e minare la fiducia pubblica nel sistema governativo. La “semplice” sottoscrizione di tali termini da parte del governo italiano è dimostrazione di quanta strada è stata fatta in pochi anni. Vale ricordare che sono passati soltanto cinque anni da quando l’allora governo italiano si fece promotore di una lunga serie di accordi diretti tra tutti i principali media italiani e i media direttamente controllati dagli organi di propaganda del Partito comunista cinese. Ne sono passati soltanto due da quando un governo successore spinse con successo l’agenzia Ansa a strappare il suo accordo di condivisione dei contenuti con Xinhua. Da attivo promotore della propaganda autoritaria al suo riconoscimento come una minaccia attiva alla sicurezza per l’Italia e i suoi alleati: un cambiamento di rotta profondo che bisogna applaudire.
Almeno negli intenti. Ora occorre urgentemente passare all’azione. Un punto su cui si sofferma molto il Quadro statunitense per contrastare la manipolazione delle informazioni da parte di Stati esteri su cui si basa l’intesa siglata ieri. Si delinea intorno a cinque aree di azione chiave: (1) strategie e politiche nazionali; (2) strutture e istituzioni di governance; (3) capacità umana e tecnica; (4) società civile, media indipendenti e mondo accademico; e (5) impegno multilaterale. Aree d’azione che richiedono espressamente un approccio che va oltre il monitoraggio secco e che devono mirare a irrobustire sia le istituzioni che la società intera nel contrasto alla guerra ibrida in corso contro le nostre democrazie. Azioni non solo governative, ma anche di rafforzamento degli attori già attivi nel settore del contrasto alla disinformazione e la propaganda pervasiva.
È un ruolo finora giocato troppo spesso solo da una piccola avanguardia di giornalisti e società civile che da tempo batte il chiodo sulle molteplici attività di disinformazione e propaganda in corso sul nostro territorio da parte di regimi avversari come quello cinese e russo. Voci che vengono spesso marginalizzati in un’Italia che ancora oggi, a differenza di quanto accade in molti dei suoi Paesi alleati, non nutre una particolare cultura di coinvolgimento della società civile o media indipendenti come risorsa “essenziale nell’informare e sostenere le iniziative guidate dal governo per contrastare la manipolazione delle informazioni da parte di Stati stranieri”.
Questa mancanza si accentua ancora di più quando si tratta di “garantire la tutela della libertà di espressione e la protezione dei gruppi emarginati” all’interno del suo territorio. Riconoscere che disinformazione e propaganda spesso viaggiano mano in mano con la repressione transnazionale delle voci contrastanti all’interno delle nostre comunità è cruciale se si vuole assicurare non solo la loro libertà di espressione, ma anche la crescita della nostra capacità umana di detezione e risposta alle minacce. A tal fine, occorre un lavoro di riflessione profondo circa le politiche intraprese in altri settori. La manipolazione delle informazioni non avviene soltanto attraverso le attività dirette dagli avversari. Spesso essi vengono rafforzate o veicolati attraverso le stesse attività nostre.
Qualsiasi sforzo di contrasto alla disinformazione e la propaganda viene troppo facilmente minato dai messaggi contrastanti inviati da tentativi di cosiddetto riavvicinamento come il Forum di dialogo imprenditoriale Italia-Cina tenutosi la settimana scorsa. O ancora, dall’assenza di qualsiasi sforzo visibile di sensibilizzazione delle amministrazioni locali, come le Regioni e le città, dove le barche prestate della propaganda cinese viaggiano a gonfie vele.
Azioni di rafforzamento della propaganda e della repressione transnazionale. È di (troppo) fresca memoria l’immagine dei vertici della politica lombarda con esponenti della Camera di commercio e industria dei cinesi d’oltremare di Milano. Esponenti legati al Fronte unito del Partito comunista cinese, quali Cao Qikao e Wu Bushuang che agiscono dichiaratamente come punti di collegamento per l’Ufficio di pubblica sicurezza di Wenzhou nel Nord Italia.
Un’immagine che ne racconta mille e che dimostra quanto – volutamente? – impreparati le nostre strutture istituzionali sono nel riconoscere la varietà delle minacce attivi sul nostro territorio. Pare evidente che per quanta strada fatta, da percorrere ce ne sia ancora molto di più.