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Come spiegare le mosse di Riad tra Iran e Israele. L’opinione di Mayer

L’Arabia Saudita ha deciso condividere con gli Stati Uniti e con i loro alleati le informazioni sull’attacco di Teheran favorendo l’efficacia della risposta. È la conferma della validità della strategia diplomatica dell’amministrazione Biden

Il sito della famiglia feale saudita ha pubblicizzato, nei giorni scorsi, un dato di notevole rilevanza politica. La sostanza è la seguente: dopo aver ricevuto dall’Iran le informazioni relative alla pianificazione dell’imminente e massiccio attacco contro Israele, l’Arabia Saudita ha deciso di condividerle con gli Stati Uniti e con i loro alleati, favorendo l’efficacia della risposta. Il testo che rivendica esplicitamente il contributo informativo che l’Arabia Saudita e altri Paesi arabi hanno offerto alla difesa di Israele.

La decisione di Riad non era affatto scontata per le buone relazioni in essere con la Russia di Vladimir Putin. Una particolare preoccupazione dei più attenti osservatori era (e resta) sulle ipotetiche cooperazioni tra l’Arabia Saudita e Mosca nel comparto della missilistica supersonica. La condivisione informativa (insieme al ruolo attivo assunto dalla Giordania) ha creato nuove condizioni per un processo di isolamento politico (e conseguente indebolimento) dell’Iran e dei suoi proxy. La netta sconfitta subita da Teheran non è solo militare, ma se ben gestita da Israele è destinata a incrinare la reputazione e il peso politico dell’Iran nelle percezioni di Mosca e di Pechino.

Un altro aspetto da sottolineare è che le gravissime perdite subite dalle Brigate Al Qassam di Hamas (secondo l’Idf sono rimasti operativi soltanto cinque battaglioni sui 24 che operavano a Gaza sino al 7 ottobre scorso) costituiscono un ammonimento per gli Hezbollah in Libano, per gli Houti in Yemen e per le diverse milizie filoiraniane che operano in Iraq. La grande efficacia dimostrata dai sistemi difensivi israeliani rispetto alla massiccia offensiva iraniana restituisce alle forze armate israeliane la credibilità incrinata dalla strage del 7 ottobre e costituisce oggettivamente un significativo fattore di deterrenza.

È troppo presto per valutare compiutamente le convulse vicende degli ultimi giorni, ma l’esplicita collaborazione di intelligence tra l’Arabia Saudita, altri Paesi arabi e Israele conferma la validità della strategia diplomatica portata avanti dall’amministrazione Biden (diversamente da quanto sostenuto dal Wall Street Journal).

A proposito delle relazioni tra Israele e i Paesi arabi è tuttavia decisivo non ripetere gli errori politici compiuti dagli accordi di Abramo. In particolare, sulla totale emarginazione dai contatti negoziali dell’Autorità nazionale palestinese. Si tratta di una errata valutazione compiuta da tutti, ma particolarmente gradita ai leader dell’estrema destra israeliana. Basti citare il caso di Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, che in questi giorni fa la parte del falco, ma è tristemente celebre per i suoi pubblici apprezzamenti di Hamas (un “asset”). L’opinione pubblica israeliana si chiede dov’era Smotrich durante i 17 anni in cui Hamas ha regnato incontrastato su Gaza, trasformando impunemente la striscia in un arsenale di guerra sempre più sofisticato da cui sferrare l’efferato attacco del 7 ottobre.

Infine, è importante ricordare che la sconfitta di Hamas è condizione necessaria, ma non sufficiente. Anche quando Hamas sarà messo nella condizione di non nuocere, la questione nazionale palestinese resta irrisolta da decenni. Per questo, servono coraggio e lungimiranza e soprattutto una visione del futuro capace di illuminare da subito la fase postbellica. Per quanto oggi appaia una missione impossibile, la prospettiva dei due popoli e due Stati deve ritornare al centro dell’agenda politica.

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