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Cosa c’entrano le liste di attesa negli ospedali con le elezioni europee?

Il dibattito sulle europee trascura sistematicamente i grandi temi di interesse continentale come il nuovo Patto stabilità, la governance europea, il mercato unico, se e come arrivare ad un debito comune per finanziare le spese relative alla Difesa e alla transizione ecologica, e le future alleanze politiche… Il commento di Andrea Cangini

Che sia un malcostume tipicamente italiano non vi è dubbio: negli altri 26 Paesi che aderiscono all’Unione, i leader nazionali che non sono interessati ad occupare un seggio a Bruxelles evitano di candidarsi alle elezioni europee. Da noi, invece, ci si candida anche solo per “contarsi” e/o per “trainare” la propria lista elettorale, salvo poi rinunciare al seggio europeo a beneficio del primo tra i non eletti del proprio partito. Un malcostume che non nasce oggi, ma che per qualche misteriosa ragione solo oggi è motivo di scandalo tra i commentatori.

Forse perché la prassi un tempo confinata tendenzialmente a destra caratterizza oggi anche la sinistra. Intendiamoci, lo scandalo è ampiamente giustificato, dal momento che, con tutta evidenza, tale malcostume altera il risultato di una consultazione democratica e contribuisce a trasformare le elezioni europee in elezioni nazionali, rendendo ancor più difficile per i candidati cimentarsi sui temi che dovrebbero caratterizzare la campagna elettorale di chi intende fare politica a Bruxelles piuttosto che a Roma. A dirla tutta, però, quand’anche i leader nazionali non si fossero candidati, è ragionevole dubitare del fatto che la comunicazione politica dei rispettivi partiti sarebbe stata meno centrata sui piccoli temi di politica interna piuttosto che sui grandi temi di interesse continentale. A girare per le città osservando i primi manifesti elettorali cadono, infatti, le braccia.

Uno per tutti, il manifesto del Partito democratico che in questi giorni costella le vie di Roma. L’immagine ritrae dei medici di un qualsiasi reparto ospedaliero. “Cure accessibili, non attese infinite”, è lo slogan che troneggia sulla scritta “L’Europa che vogliamo è sociale”.

Il messaggio è chiaro: se alle europee dell’8 giugno votate Pd la sanità funzionerà meglio. Messaggio a dir poco fuorviante dal momento che il Parlamento europeo non ha competenza sull’organizzazione del servizio sanitario nazionale, che in Italia, come è noto, dipende dalle regioni. Chi più chi meno, il problema riguarda tutti i partiti. Ne risulta un dibattito pubblico falsato, per non dire surreale.

Un dibattito che trascura sistematicamente i grandi temi di interesse continentale come il nuovo Patto stabilità, la governance europea, il mercato unico, se e come arrivare ad un debito comune per finanziare le spese relative alla Difesa e alla transizione ecologica, le future alleanze politiche…

In compenso, grazie all’improvvida uscita del candidato Roberto Vannacci, dibattiamo da giorni di disabilità, di omosessuali e di classi miste.


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