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Mar Rosso, l’Ue fa il primo bilancio (positivo) di Aspides

La missione europea per la sicurezza collettiva nel Mar Rosso fa un primo bilancio. L’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Borrell ricorda, per “trasparenza e apertura nei confronti degli attori regionali”,  che Aspides opera “in autodifesa e per proteggere le navi bersaglio” delle destabilizzazioni degli Houthi

“In meno di due mesi la missione Aspides ha respinto 11 attacchi e scortato 68 navi, in linea con il suo mandato difensivo”, ha detto l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue Josep Borrell, sottolineando che c’è “un livello di impegno importante, anche dal punto di vista del rischio”. Tuttavia, aggiunge in un primo bilancio davanti ai giornalisti da quando il 19 febbraio l’operazione europea per proteggere il Mar Rosso è stata messa in acqua “questa missione mostra la nostra volontà e capacità di proteggere gli interessi dell’Europa ed è un esempio della capacità dell’Ue di essere un fornitore di sicurezza marittima”.

“Finora tutte le richieste di protezione avanzate dal settore marittimo sono state raccolte, ma se il numero aumenta dovranno crescere anche i nostri asset presenti nell’area”, ha spiegato il contrammiraglio Vasileios Gryparis, Operation Commander di Aspides, presente al fianco di Borrell anche per ricordare con la pragmatica dei militari e la consapevolezza di chi è operativo che sono già state inoltrate ulteriori “richieste di capacità specifiche” agli Stati membri dell’Ue, in particolare sul supporto logistico: “È ancora presto per dire se Aspides abbia avuto un impatto sulla situazione, ma siamo pazienti e seguiamo il nostro mandato”.

La missione — che in mare è coordinata dall’ammiraglio italiano Giuseppe Costantino, Force Commander presente a bordo del cacciatorpediniere Caio Duilio — si è resa necessaria per cercare di ristabilire l’ordine all’interno delle rotte dell’Indo Mediterraneo, dove gli Houthi hanno destabilizzato la connettività Europa-Asia, sostenendo di attaccare navi israeliane e dei Paesi amici di Israele in rappresaglia per la guerra nella Striscia di Gaza.

La missione europea si abbina a quella a guida statunitense, “Prosperity Guardian”, e al programma di attacchi mirati anglo-americani “Poseidon Archer”, ma finora i miliziani yemeniti non si sono fermati — sebbene le loro capacità operative siano state erose. Gli Houthi sostengono che si fermeranno non solo davanti a un cessate il fuoco a Gaza ma addirittura dopo la soluzione a Due Stati. È un orizzonte complicato da raggiungere, e non è detto che gli Houthi rispettino certi propositi, ma soprattutto è impensabile per Usa e Ue che la sicurezza collettiva non dipenda dalle richieste di un gruppo non statale, autore di violenze e atti terroristici.

Tanto più se si considera che gli Houthi non agiscono solo per rappresaglia eroica a supporto dei palestinesi (persone su cui grava il peso tanto dell’attacco di Hamas che ha dato il via alla stagione di guerra, quanto della reazione feroce di Israele che ha prodotto un numero di vittime civili “in alcun modo giustificabile”, per utilizzare le parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani). Gli Houthi infatti pensano di poter usare la dimostrazione di forza in corso come elemento a supporto delle loro rivendicazioni sul futuro dello Yemen, le quali sono in discussione nelle negoziazioni post guerra civile che vanno avanti da due anni. Anche per questo, gli Stati Uniti hanno deciso di muovere l’inviato speciale per il conflitto yemenita, mandato nella regione per comprendere più a fondo il contesto.

La debolezza del collegamento euroasiatico per Suez riguarda anche questo: la geoeconomia globale diventata dipendente da istanze locali e regionali, mosse anche attraverso dinamiche violente. Stando ai numeri forniti da Borrell, da quando sono iniziati gli attacchi degli Houthi il costo della spedizione di un container dalla Cina all’Europa “è raddoppiato”, perché sono aumentati i costi assicurativi per chi usa la rotta del Mar Rosso (“del 60%”) e quelli generale di spedizione per chi sceglie di doppiare il Capo di Buona Speranza (il cui traffico è aumentato del 74% in questi primi mesi del 2024). Oggi nel Mar Rosso transitano 35 navi al giorno, contro le 70 del periodo pre-crisi — un problema anche per le casse egiziane, per cui i diritti di passaggio sul canale sono componente importante del sostentamento di un’economia in grave crisi.

“Il canale di Suez vale il 13% del traffico commerciale globale”, ha ricordato Borrell precisando che anche per questo la missione Aspides “non è un gioco”: “Le nostre navi devono affrontare fuoco vero, devono abbattere i missili o i droni lanciati verso i vascelli che scortano”. “Non siamo impegnati in alcuna operazione contro gli Houthi a terra. Le nostre navi operano in autodifesa e per proteggere le navi bersaglio”, ha chiarito Borrell. “Va detto chiaramente perché la trasparenza e l’apertura nei confronti degli attori regionali è stata la nostra priorità da quando abbiamo iniziato a preparare questa operazione”.

Quest’ultimo è un punto dal valore politico piuttosto importante, perché più che dagli attacchi per degradare la capacità operativa degli Houthi, la fine della destabilizzazione potrebbe passare da iniziative negoziali pragmatiche condotte da quegli attori regionali. Il realismo politico guida la situazione, perché la crisi sta aprendo anche un altro problema: le navi che passano per Buona Speranza non rientrano nel Mediterraneo, ma tagliano totalmente fuori i porti del bacino, preferendo allungarsi fino agli scali nord-europei. Questa marginalizzazione è un problema geostrategico per un Paese come l’Italia, completamente affacciato sul mare e dipendente da esso per gli approvvigionamenti esterni e per le esportazioni.


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