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Ma Draghi ci è o ci fa? Il commento di Arditti

Mi domando, ma che senso ha alzare così tanto il tiro quando i giochi sono tutti da fare e le sensibilità tanto diverse e difficilmente conciliabili? E ancora: è pensabile una candidatura con parziale o scarsa sintonia con il Paese d’origine, che ha al governo una coalizione tutt’altro che automaticamente pronta a sostenere l’ipotesi Draghi? È quindi utile ad ottenere l’appoggio di Giorgia Meloni tutto questo protagonismo? Il commento di Roberto Arditti

Così scrive l’agenzia Ansa, nel servizio in lingua inglese: “Italian ex-premier and former European Central Bank President Mario Draghi said Tuesday that his upcoming report on boosting the EU’s competitiveness will call for radical reforms. ‘We need a European Union that is fit for the world of today and tomorrow’, Draghi said at a high-level conference on social rights in La Hulpe organised by the Belgian EU duty presidency. ‘What I propose in my report is a radical change: this is what we need'”.

Ora, lasciamo perdere i pettegolezzi giornalistici, più o meno verificati o verificabili, secondo i quali l’uscita dell’ex primo ministro italiano ha irritato sia il Presidente francese Macron che la presidente dell’Unione europea von der Leyen (probabilmente per ragioni diverse) e concentriamoci sul punto centrale di questa storia, cioè l’ipotesi di portare Draghi medesimo alla guida della Ue dopo le elezioni di giugno.

Ebbene questa idea, presente a vari livelli d’intensità e consenso in giro per l’Europa, metterebbe in quel ruolo una della figure più credibili dell’intero continente, per il semplice fatto che la storia di Draghi, in particolare da presidente della Bce, parla da sé.

Siccome però la decisione sarà anche (o forse innanzitutto) politica, desidero esprimere la mia forte perplessità sulla strategia applicata dall’interessato, a meno che la sua non sia volontà ferrea non dico di far naufragare l’opzione, ma quantomeno di innervosire tutti i soggetti che avranno voce in capitolo.

Per spiegarmi meglio occorre un passo indietro, tornando così alla fine del 2021, quando inizia concretamente la corsa per la successione al Quirinale. È il segreto di Pulcinella affermare che a Palazzo Chigi tutti tifavano per l’ascensione, in versione messianica, del presidente del Consiglio al Colle. Anzi, per molti versi l’atteggiamento fu: non potrete fare altro.

Sappiamo bene come finì, anche grazie alla sapiente gestione dell’attuale inquilino del Supremo Palazzo, ben più avvezzo (lui e il suo team) alle giravolte parlamentari della politica italiana (resteranno memorabili le foto sui social con gli scatoloni e l’annuncio della nuova casa privata in affitto per il candidato Presidente Emerito).

Insomma la gestione dell’opzione Draghi al Colle fu semplicemente un disastro: non c’è dibattito sul punto.

Adesso c’è (potenzialmente) una nuova corsa, di cui le dichiarazioni di martedì sono, politicamente parlando, una conferma marchiata con il fuoco. Allora io mi domando, ma che senso ha alzare così tanto il tiro quando i giochi sono tutti da fare e le sensibilità tanto diverse e difficilmente conciliabili? E ancora: è pensabile una candidatura con parziale o scarsa sintonia con il Paese d’origine, che ha al governo una coalizione tutt’altro che automaticamente pronta a sostenere l’ipotesi Draghi? È quindi utile ad ottenere l’appoggio di Giorgia Meloni tutto questo protagonismo?

Io penso di no. Il Draghi migliore, quello dei vecchi tempi era (anche) un abile tessitore dietro le quinte. Quello “troppo” pubblico rischia di non funzionare.


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