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Migranti, difesa comune, Ucraina. Tutte le sfide della nuova Nato

Del futuro dell’Alleanza Atlantica hanno discusso alla Camera parlamentari e diplomatici in occasione della pubblicazione del volume di Natalizia e Termine dal titolo “La Nato verso il 2030. Continuità e discontinuità nelle relazioni transatlantiche dopo il nuovo Concetto Strategico”

Quale Nato ci aspetta dopo il 2030? Un momento di riflessione organizzato dal parlamentare di Fratelli d’Italia Giangiacomo Calovini, membro della commissione esteri della Camera e membro della delegazione parlamentare italiana presso l’assemblea parlamentare della Nato, è stata l’occasione per analizzare le presenti e le future strategie dell’alleanza alla luce dei dossier maggiormente impattanti. Un momento per fare il punto su Ucraina, difesa comune, migranti e Ue (all’interno della cornice del G7 a guida italiana) alla presenza di parlamentari e diplomatici, come l’ambasciatore dell’Albania a Roma Anila Bitri Lani, di Grecia Eleni Sourani, quello ungherese Adam Kovacs e quello lituano Dalia Kreivienė.

Alleanza e disinformazione

“Si è trattato di un convegno doveroso per sottolineare l’importanza dell’Alleanza Atlantica – spiega a Formiche.net Calovini – da cui sono emersi concetti estremamente importanti. Primo, ricordarci che l’Alleanza atlantica difende da 75 anni più di un miliardo di persone. Secondo, non è un’alleanza militare di tipo aggressivo, ma è un’alleanza che difende valori come democrazia e libertà, che sono valori che caratterizzano l’Occidente e l’Europa da sempre”.

Il 4 aprile 1949 l’Italia firmava con altre 11 Nazioni il Trattato del Nord Atlantico. Da allora, recita una nota di Palazzo Chigi, “siamo orgogliosi del contributo determinante dell’Italia alle operazioni e missioni dell’Alleanza e al suo adattamento alle nuove sfide alla sicurezza, incluse le minacce che investono il suo fianco Sud e il Mediterraneo”, a testimoniare l’attenzione del governo al Fronte Sud e al Mediterraneo.

Nel 75esimo anniversario dalla sua fondazione, occorre alimentare il dibattito sull’Alleanza Atlantica per due ragioni principali, ha spiegato Gabriele Natalizia, professore Associato DISP – Sapienza Università di Roma e coordinatore del Centro Studi Geopolitica.info (e autore con Lorenzo Termine de “La Nato verso il 2030. Continuità e discontinuità nelle relazioni transatlantiche dopo il nuovo Concetto Strategico”).

“La prima è che, essendo il principale strumento di difesa dell’ordine internazionale scaturito dalla fine della Guerra fredda, la Nato è diventata anche uno dei principali target della disinformazione delle cosiddette potenze revisioniste, Federazione Russa in primis. Queste sono impegnate a diffondere una narrazione distorta su di essa, i cui elementi principali sono stati integrati non di rado, sebbene involontariamente, nel dibattito pubblico. Su tutti, l’idea che la Nato “annetta” territori o Stati, o che la Nato abbia tradito la promessa fatta ai leader dell’Unione Sovietica di non allargarsi. Se è di tutta evidenza che la Nato non “annetta”, ma semmai si allarghi su richiesta di Paesi che si candidano a farne parte, sottoponendosi a un iter molto lungo e il cui esito non è necessariamente scontato (vedi il caso della Bosnia o quello solo recentemente risolto della Svezia), allo stesso modo la narrazione sulla “broken promise” è errata. Fa riferimento, infatti, a una battuta fatta dall’allora segretario di Stato americano Baker nel 1990 nel primo di quattro round diplomatici Usa-Urss sul futuro della riunificazione tedesca. Non solo il tema non fu più toccato, nè era parte dei colloqui, ma non fu citato nel Trattato sullo Stato finale della Germania. La Nato, pur non essendo mai stato oggetto di alcun accordo, non ha mai dislocato sistemi d’arma maggiori nei Paesi che vi hanno aderito a partire dal 1999”.

Ucraina e Nato

La seconda ragione, prosegue, è che, nonostante la guerra in Ucraina abbia dato nuovo slancio all’Alleanza Atlantica e confermato le sue enormi capacità, ancora è da risolvere l’annoso problema della cacofonia strategica. “Ovvero dell’eterogeneità di vedute – difficilmente inevitabile all’interno di un’alleanza a 32 Stati – sui rivali strategici, i task e la suddivisione delle responsabilità. L’Italia pur sostenendo fermamente il contrasto all’aggressione russa all’Ucraina e l’impegno sul fianco est, dove schiera forze sia in Lettonia che in Romania, cerca di rimarcare l’importanza anche del Fianco sud – come drammaticamente ricordato dal precipitare degli eventi nel Mar Arabico – dove la perdita di capacità di alcuni Stati – come Libia, Libano, Yemen – diventa un incubatore non solo per organizzazioni criminali o terroristiche, ma anche per gli interessi delle potenze revisioniste e il loro consolidamento nel Mediterraneo Allargato. Per quanto riguarda gli impegni gli sforzi dell’Italia sono per confermare la pari importanza di deterrence and defence, crisis management and prevention e della cooperative security, da considerare tutti indispensabili per l’obiettivo della difesa collettiva. In particolare, l’Italia si sta impegnando per ottenere l’invito ai partner della sponda sud del Mediterraneo al summit NATO di Washington del prossimo luglio”.

Burden sharing

In merito al burden sharing, sebbene l’Italia abbia rinnovato il suo impegno a rispettare la promessa del 2% di Pil in spese della difesa, ribadisce che non è possibile porre attenzione solo sul quanto si spende. “È necessario anche lavorare alla definizione di parametri comuni sulle voci che possono essere considerate all’interno del 2% (dai finanziamenti alla Nato, a quelli dedicati a dimensioni – come le infrastrutture critiche – prima considerate “neutre”), aumentare il coordinamento con gli alleati su come spendere e, soprattutto, impegnare gli alleati a mettere la spesa a fattor comune dell’alleanza, in quanto l’Italia è il secondo contributore alle missioni Nato pur non rispettando ancora il pledge del 2%”, ha concluso.

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