Un’istituzione per la formazione dei cittadini. Un network di centri di cultura che aiutino tutte le persone di questo Paese a capirci qualcosa di quello che gli succede intorno. Forse, l’Italia ha bisogno anche di questo. L’intervento di Stefano Monti
Ramadan, guerra in Medio Oriente, conflitto russo-ucraino, intelligenza artificiale, cancel culture. Forse occorrono nuove istituzioni culturali per comprendere il presente.
Sono decenni che ci siamo abituati alla retorica del “mondo che diviene sempre più complesso”. Sono decenni che affermiamo che tale livello di complessità richiede un’offerta, anche culturale, che permetta ai cittadini di poter meglio comprendere il proprio tempo. Da meno di un decennio, ma in ogni caso da anni, mettiamo in guardia noi stessi e i nostri cari contro l’avvento della disinformazione. Solleviamo preoccupazioni sul futuro professionale derivante dall’avanzamento delle tecnologie.
Le istituzioni culturali sono state profondamente investite da questa esigenza: si sono rinnovate biblioteche, aggiornati musei, sono aumentate le richieste nei confronti degli istituti scolastici.
Nessuna delle nostre istituzioni culturali, però, è stata immaginata per quello che occorre oggi: fornire ai cittadini una comprensione del proprio tempo, interdisciplinare e continuativa, laica sia sotto il profilo religioso che sotto il profilo ideologico, e che consenta alle persone di sviluppare un approccio reale nei confronti di questo tempo che, veicolato anche dall’assolutismo umano che nei social non fa che trovare una spinta esasperante, non si può pretendere possa essere davvero compreso leggendo un post su Facebook o su X.
Tutti gli sforzi compiuti dalle nostre istituzioni hanno condotto a risultati importantissimi: ma per essere davvero dirimenti, tali sforzi dovrebbero essere accompagnati dalla creazione di un’istituzione che sia esclusivamente deputata a questo.
Convenzionalmente, le istituzioni che si occupano della formazione e della cultura dei cittadini sono note.
Sotto il profilo della formazione si parte dalle istituzioni scolastiche, che coprono i primi anni di vita dei cittadini, e si giunge al mondo accademico, che si rivolge soltanto ad una parte della popolazione ed ha un approccio necessariamente settoriale.
Con riferimento alla “conoscenza” più ampia esistono archivi, luoghi deputati alla raccolta di fonti e documenti che dal passato arrivano ai nostri giorni; le biblioteche, che nei casi più illuminati sono dei punti di accesso alla cultura, e nei casi canonici sono sostanzialmente una raccolta ordinata di testi; i musei, che raccolgono, custodiscono e valorizzano le opere d’arte o più in generale “oggetti” che rivestono una grande importanza sotto il profilo culturale, sia in ambiti specifici, sia per la nostra specie; ci sono le aree archeologiche, che custodiscono, tutelano e tramandano le tracce dei nostri antenati e attraverso ricerche e studi consentono agli archeologi di ricostruire parti della nostra storia passata.
Ognuno di questi settori della cultura è stato investito di nuovi compiti: valorizzare il patrimonio esistente, promuovere e diffondere la cultura, divenire centro attrattivo per cittadini e, al contempo, stimolare la qualità della visita da parte dei turisti.
Nel frattempo, ognuno di questi settori ha concretamente intuito il proprio nuovo ruolo all’interno di una società mutata: gli archivi divengono spazi polifunzionali, le biblioteche centri di produzione culturale e diffusione della cultura e della socialità, le aree archeologiche più innovative diventano organizzazioni centrate sull’engagement della cittadinanza e i musei hanno lavorato a lungo per divenire dei luoghi “cool”.
Nessuna di tali istituzioni, tuttavia, ha realmente il compito di fornire ai cittadini una visione del presente completa, estesa, in grado di fare da ponte tra gli ambienti talvolta provinciali che caratterizzano il nostro Paese e il mondo che non è affatto distante.
Eppure una domanda c’è. Lo dimostrano i casi social di Geopop, i documentari in pillole dei tanti produttori di contenuti su YouTube o le lezioni universitarie trasmesse dai sempre più numerosi e scientificamente solidi Barbero, Pievani, Galimberti, ecc.
Una domanda che trova applicazione anche nel mondo off-line, con i successi che nel mondo registrano i vari TedX.
Non si tratta, del resto, di una necessità poco nota: il concetto di lifelong learning è entrato a far parte dei discorsi ministeriali già da qualche anno, senza che tuttavia sia stata davvero attuata una politica culturale che, al di là del naming accattivante, abbia consentito a tutti i cittadini del nostro Paese di accedere a servizi didattici e culturali attraverso i quali stimolare l’attitudine all’apprendimento lungo tutto l’arco di vita.
La domanda è così forte che numerosi sono i teatri, anche privati, che organizzano format che, seppur in forma ovviamente teatralizzata, ricostruiscono il concept di lezione universitaria: per citare qualche nome che non si cita da un po’, Sgarbi sono anni che sviluppa un servizio di questo tipo.
È chiaro che la costruzione di una nuova istituzione culturale rappresenti una sfida molto impegnativa. Sia sul versante delle risorse e ancor prima sul versante delle idee. Senza contare il timore, più che fondato, di veder trasformare, in quel telefono senza fili che è l’iter che va dall’intuizione alla realizzazione, quella che potrebbe essere una nuova istituzione nell’ennesimo spazio polifunzionale cui vengono destinati più fondi per lavori che per la conduzione concreta delle attività.
Eppure un’istituzione del genere, in teoria, non avrebbe nemmeno bisogno di uno spazio fisico esclusivo sotto il profilo funzionale. Nei fatti, non dovrebbe “inventare” nulla di nuovo. Si tratterebbe piuttosto di produrre e coordinare iniziative ed interventi che in molti casi esistono già ma che sono parcellizzati.
Conferenze, dibattiti, documentari, spettacoli, mostre, lezioni universitarie, incontri con autori o letture ad alta voce, riempiono i nostri tessuti urbani senza avere una narrativa condivisa. Unirli all’interno di un “programma scientifico”, magari preceduto da lezioni, distribuzioni di libricini gratuiti che forniscano ai cittadini un’introduzione semplice e intuitiva alle “varie discipline”, potrebbe generare un valore aggiunto sin qui poco considerato.
Lo spazio fisico, è chiaro, sarebbe in ogni caso necessario: per visibilità dell’istituzione e per un più forte e completo riconoscimento delle attività. Ma la parte centrale dell’intera istituzione sarebbe di natura scientifica e organizzativa. Pianificazione e struttura narrativa di tutti gli interventi, individuazione di tematiche importanti non sufficientemente presenti. Introduzioni. pubblicità e comunicazione. Scuole aperte.
Un’istituzione per la formazione dei cittadini. Un network di centri di cultura che aiutino tutte le persone di questo Paese a capirci qualcosa di quello che gli succede intorno. Forse, l’Italia ha bisogno anche di questo.