L’idea che il primato di Pietro sia un primato da “primo tra pari” ne conserva il senso decisivo, quello di garante dell’unità nella diversità, nella plurale unità. E questo diverso potere oggi è molto importante per consentire l’incontro di tutte le Chiese, cioè quello che tecnicamente si chiama “ecumenismo”, facendo del cristianesimo una religione plurale, di diversi che vicendevolmente si arricchiscono, superando ogni etno-nazionalismo. La riflessione di Riccardo Cristiano
Critiche diverse, forse addirittura opposte tra di loro, rimproverano a Francesco di allontanare la Chiesa dal sacro. Questa critica non poteva che tornare ora che il papa ha annunciato di non voler un funerale in cui la sua salma sia esposta fuori dalla bara, per giorni.
Vorrei affrontare questo problema partendo da qualcosa che potrà sembrare totalmente inafferente. Pensando al “sacro” e alla cristianissima Russia, sappiamo che da tempo il patriarca di Mosca parla di quella che si combatte in Ucraina come di una guerra “metafisica”, parola scomparsa dal nostro vocabolario. Poi ha diffuso la certezza di una Guerra Santa, una guerra che una Chiesa etno-nazionale vuole combattere “con uno stato millenario russo contro il satanismo occidentale”.
Qui si prende a base della giurisdizione ecclesiale un’etnia, cioè una tribù. Questa Russia-tribù, guarda caso, per la Chiesa di Mosca diviene nella dichiarazione appena diffusa dal patriarcato moscovita il famoso Katéchon di cui parla San Paolo nella seconda lettera ai tessalonicesi e che noi non sappiamo più neanche che esista: è il potere che trattiene il male, che impedisce all’Anticristo di affermarsi nel mondo.
Per la prevalente teologia cattolica questo potere non è di qualcuno in particolare (papa, imperatore o altri) bensì San Paolo voleva “infondere nei suoi lettori la fiducia radicale per l’uomo che si batte contro il demoniaco: è possibile arginare l’azione devastatrice del male e della morte ed erigere dighe di contenimento”. Ma questa lettura è stata sfidata da altre, in particolare dalla famosa teopolitica, cioè da quella teologia che confonde o mischia o unisce politica e religione e per la Treccani “anche in Occidente aumentano i politici e gli intellettuali, i quali sostengono che l’era della secolarizzazione è finita: la politica deve ritornare a Dio, e Dio deve essere presente nella politica”.
Mosca ci pone un enorme che non va ignorato né sottovalutato, ma capito in tutta la sua enormità. Ma proviamo a immaginare altri, connessi scenari: mettiamo che qualcuno pensi di opporre a questa Chiesa etno-nazionale russa che si ritiene immersa in una Guerra Santa contro l’Occidente una Chiesa Occidentale che faccia dell’Occidente una nazione-tribù, immersa anch’essa in una Guerra Santa contro la Russia dispotica e barbara. Cosa accadrebbe? E cosa accadrebbe se, di contro, questa Russia omofoba e antimodernista fosse presa a modello? Occorre stare attenti, sia a destra che a sinistra. È la Chiesa come la capisce Francesco il problema o altre visioni?
Ora, non credo in modo collegato con quanto qui discusso, il papa ha reso noto che accantonerà quel rito che vuole il pontefice, dopo la sua morte, esposto al culto dei fedeli fuori dalla bara, su un catafalco. “La morte”, spiega, anche per i papi deve essere celebrata “con dignità, come per qualsiasi altro cristiano, e non con una salma adagiata su cuscini esposta per giorni. E poi la prassi di fare due veglie mi sembra eccessiva. Che si faccia una sola veglia e con il papa già nella bara, come avviene in tutte le famiglie”.
Non intendo certo interpretare il significato che questa disposizione ha per Francesco, né collegarlo a quanto accade con Mosca. Ha detto quel che ha detto. A me sembra evidente però che il desiderio di umanizzazione della figura del papa sia già presente nel suo agire quotidiano. Come dicesse, per capirci, che il papa non è un semidio. E questo avrebbe grande rilievo.
Qui mi discosto dalle intenzioni del papa e ricordo che intorno alla figura del pontefice ci sono state trasformazioni nel corso della storia, fino ad arrivare al famoso Dictatus Papae di Gregorio VII che prevedeva “che solo al papa tutti i principi debbano baciare i piedi” e poi al dogma dell’infallibilità, sopraggiunto dopo 1800 anni di storia cristiana. Tutto questo appartiene a una discussione che ci porterebbe lontano e che ha le sue evidenti ragioni storiche, ma il punto che resta nella supposta “non normalità umana del papa” si radica nell’idea che Gesù abbia fondato su Pietro, di cui il papa è il successore, la sua Chiesa. A me sembra curioso che Cristo non abbia fondato su di sé la Chiesa, e molti hanno scritto testi esplicativi di questo, anche in base all’originale (in greco) del testo.
So che questo non corrisponde all’interpretazione cattolica, ma l’idea che il primato di Pietro sia un primato da “primo tra pari” ne conserva il senso decisivo, quello di garante dell’unità nella diversità, nella plurale unità. E questo diverso potere oggi è molto importante per consentire l’incontro di tutte le Chiese, cioè quello che tecnicamente si chiama “ecumenismo”, facendo del cristianesimo una religione plurale, di diversi che vicendevolmente si arricchiscono, superando ogni etno-nazionalismo. Quanto meno, stanti i venti che tirano, mi sembra importantissimo. Credo che sia la risposta migliore ad ogni teopolitica. Alla quale da dentro e da fuori la Chiesa è auspicabile guardare con attenzione.