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Il Pd, dopo Prodi, non è più un partito nazionale. La lettura del prof. Galli

“Credo che sia necessaria una rifondazione radicale della sinistra, magari con un cambio di nome, sicuramente con cambio di prospettiva politica e di personale politico: un’autentica rivoluzione che parta da un’idea, da un’analisi e dall’individuazione di bisogni sociali reali per leggere la società”. Conversazione con Carlo Galli, politologo, già professore di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Bologna

“Una nuova sinistra dovrebbe stare dentro la società, aprendo sedi e sezioni ovunque, mettendo al mondo un partito che abbia come obiettivo non quello della riproduzione del ceto dirigente, ma quello della formazione di una forza politica capace di contrastare la destra, numericamente e a livello di egemonia socio-culturale. Il Pd non è in grado di fare questo, non lo sa fare e non lo vuole fare”.

Questa la dura critica che rivolge al Nazareno il prof. Carlo Galli, uno dei politologi più autorevoli del panorama italiano. Già professore di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Bologna, deputato del Pd nella XVII legislatura, è direttore della rivista “Filosofia politica”. Di recente ha pubblicato “Democrazia, ultimo atto?” (2023 Einaudi”). Il Partito Democratico, osserva, “mi sembra completamente allo sbando come partito nazionale, privo di cultura politica, privo di capacità di analisi, privo di una linea strategica, privo di identità. È un partito regionale e la sinistra ha inseguito fantasmi invece di andare alla radice dei problemi e quindi è diventata qualche cosa a cui gli italiani credono sempre meno”.

Non prendere parte alle primarie di Bari e ritirare l’appoggio del M5S alla giunta Emiliano. La doppia mossa di Conte ha spiazzato Schlein?

Se Schlein avesse la statura politica necessaria, se avesse un pieno controllo sul partito (che non ha) e se non fosse stata costretta a venire a patti con alcuni potentati locali fra cui quello pugliese, avrebbe potuto fare queste mosse prima di Conte (il quale infatti si può ora permettere di offrire al Pd un’alleanza come se fosse il padrone di casa della sinistra). Sarebbe stata una grande impresa e avrebbe segnato molti punti a proprio favore, ma la verità è che Schlein non ha una visione, non ha la forza e non ha il sostegno interno del partito. Manca inoltre nel Pd uno spirito di unione che possa giustificare anche dei sacrifici pesanti, come quello di far saltare un intero ceto dirigente a livello regionale.

All’indomani della vittoria di Giorgia Meloni alle scorse politiche, si diceva che le opposizioni avevano l’occasione di cementarsi proprio in virtù di un nemico comune. Il centrosinistra ha mancato questo obiettivo?

Sì, perché non c’è più Romano Prodi a tenere insieme le opposizioni e il ceto politico si è ulteriormente degradato, diventando un insieme di personaggi che cercano quasi esclusivamente di sopravvivere alla giornata senza una veduta comune. Inoltre nessuno ha ancora fatto un’analisi dei motivi per i quali Meloni ha vinto le elezioni e continua ad avere un grande seguito nei sondaggi. Si tratta di opposizioni che vivono senza analisi. Il M5S ripete il proprio ritornello di una politica corrotta e da spazzare via, ma quando è stato al governo non ha dato una buona prova di sé. Il reddito di cittadinanza da una parte e il super bonus del 110% dall’altra hanno generato disastri economici che ci graveranno addosso per chissà quanto tempo. Il Pd mi sembra completamente allo sbando come partito nazionale, privo di cultura politica, privo di capacità di analisi, privo di una linea strategica, privo di identità. È un partito regionale, forte in Emilia e in Toscana.

Al di là del risultato numerico che ci sarà alle europee, pensa sia necessario un nuovo Lingotto al Partito Democratico oppure ci vorrebbe un’idea completamente nuova?

Schlein ha provato a rinnovare il Pd spostandolo a sinistra, facendone un partito tendenzialmente woke. Il che naturalmente contraddice quelle anime politiche, comuniste e cattoliche, che, a suo tempo, diedero vita a quel partito. Io non credo a un nuovo Lingotto, piuttosto credo che sia necessaria una rifondazione radicale della sinistra, magari con un cambio di nome, sicuramente con cambio di prospettiva politica e di personale politico: un’autentica rivoluzione che parta da un’idea, da un’analisi e dall’individuazione di bisogni sociali reali per leggere la società. In secondo luogo questo partito nuovo dovrebbe stare dentro la società, con il coraggio di aprire sezioni ovunque, dalle fabbriche ai territori: un partito insomma che abbia come obiettivo non quello della riproduzione del ceto dirigente, ma quello della formazione di una forza politica capace di contrastare la destra, sia numericamente sia a livello di egemonia socio-culturale. Il Pd non è in grado di fare questo, non lo sa fare e non lo vuole fare. Eppure lo spazio c’è.

Vede nelle difficoltà italiane del Pd anche un riflesso delle difficoltà del socialismo europeo?

Sì, la crisi della sinistra è una crisi europea (che non riguarda il mondo anglofono che ha storie politiche e società molto diverse da quelle europee). In Germania, in Francia e anche in Italia la sinistra ha avuto un ruolo storico importantissimo come direzione della cosa pubblica, sostanzialmente, da noi, insieme alla Dc. Ha espresso personalità che avevano un’idea di sviluppo e di riforma della società italiana, e di protagonismo italiano in un contesto internazionale.

In seguito cosa è accaduto?

Si è verificato lo sfarinamento della capacità della sinistra di leggere il trend storico, economico e sociale. La sinistra ha inseguito fantasmi invece di andare alla radice dei problemi, e quindi è diventata qualche cosa a cui gli italiani credono sempre meno. E soprattutto non ne comprendono il ruolo, sempre eccezion fatta per le regioni che da tempo la sinistra amministra.



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