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Perché il Niger è il simbolo dell’Africa che il G7 intende riagganciare

Il caso Niger continua a essere un esempio di scollamento tra gli interessi occidentali in Africa e quelli dei locali. Al G7 Esteri, ospite il capo della diplomazia della Mauritania, si parla anche del continente, mentre a Niamey sfilano i corte pro-Russia e anti-Usa

“Tra i temi che discutiamo qui a Capri c’è anche l’Africa, un continente di grande importanza per l’Italia. Lo faremo anche con il ministro degli Esteri della Mauritania, Mohamed Merzoug, in rappresentanza dell’Unione Africana”, ha annunciato il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, padrone di casa della riunione ministeriale del G7 in corso in questi giorni nell’isola campana. E Merzoug è la figura adatta anche per discutere di un dossier delicato che riguarda il continente africano: il Sahel, dove la penetrazione russa ha modificato gli equilibri già alterati da un contesto socio-economico tutt’altro che prospero e istanze anti-occidentali (iniziate con l’anti-imperialismo) incarnite da anni sono ormai diffuse rappresentando il senso di scollamento tra le attività di Usa e Ue nel continente rispetto alle reali esigenze dei locali.

La scorsa settimana proprio la Mauritania ha dovuto gestire una crisi diplomatica con il Mali – guidato da una giunta golpista con cui già non è facile comunicare – per colpa della Russia, per esempio. I militari dell’Africa Corps, le unità che stanno sostituendo i contractor del fu Wagner Group nel proteggere la sicurezza della giunta di Bamako, hanno sconfinato durante un’operazione di anti-terrorismo in territorio mauritano. Inutile dire che è una situazione inammissibile, su cui Nouakchott ha messo subito una linea rossa e ottenuto scuse formali dai maliani (non dai russi): anche perché quelle operazioni sono spesso spregiudicate e hanno più volte colpito i civili.

Ma durante il weekend, centinaia di persone hanno anche protestato nella capitale del Niger, Niamey, chiedendo che le truppe statunitensi lascino il Paese e la chiusura dell’ambasciata americana. Le manifestazioni sono state scatenate dalla giunta nigerina, che nel frattempo ha scelto, come le vicine Mali e Burkina Faso, di affidare la sicurezza alla Russia. Sistemi di difesa antiaerea russi e 100 istruttori sono arrivati nel Paese appena due giorni prima delle proteste, come concretizzazione di un patto di difesa firmato con la Russia a dicembre. Le truppe russe si muovono per il Niger e altre zone del Sahel usando la Libia orientale come hub logistico, e nei mesi scorsi Formiche.net aveva tracciato questi spostamenti tramite fonti in Cirenaica.

Le proteste dei cittadini del Niger – fino a luglio scorso guidato dal deposto presidente Mohamed Bazoum, considerato un baluardo della democrazia in mezzo al caos saheliano, poi scivolato nel più classico dei golpe regionali – si legano a un fatto recente: la giunta di Niamey ha chiesto agli Stati Uniti di interrompere la cooperazione militare che va avanti da anni. Lo avevano già fatto con la Francia, mentre l’Italia viene considerata ancora un partner affidabile e il nostro Paese resta in parte con funzioni tecniche – i militari italiani addestrano forze nigerine a combattere le milizie armate che propagano nella regione – e in parte con valore più politico/geopolitico, sentinella sull’influenza russa e punto di contatto con l’Europa e l’Occidente.

La questione Niger-Usa non scontenta solo i locali, che come altrove potrebbero anche essere fomentati dalle attività di infowar che la Russia produce in Africa come arma ibrida contro l’Occidente. Anche gli americani non sono a proprio agio con la situazione. Stando alle spifferate ricevute dal Washington Post, in una denuncia di un whistleblower proveniente dalle fila dell’aeronautica al Congresso, ottenuta dal giornale, si legge l’accusa contro l’ambasciata statunitense di Niamey di aver “intenzionalmente soppresso [le informazioni di] intelligence” mentre cerca di mantenere la “facciata di una grande relazione Paese-Paese”. Certe azioni, spiega l’informatore, hanno “potenziali implicazioni” per le relazioni degli Stati Uniti con altre nazioni africane “e la sicurezza del nostro personale nella regione”.

Il dipartimento di Stato e il Pentagono hanno respinto le affermazioni di negligenza, affermando che gli Stati Uniti sono impegnati in una “spinta finale” per mantenere la presenza militare, anche se riconoscono che i colloqui sono difficili e potrebbero non riuscire a produrre un accordo. Per gli Stati Uniti la presenza in Niger è fondamentale nel quadro della lotta al terrorismo: la base con i droni armati ad Agadez, e una all’aeroporto di Niamey, sono utilizzate per le campagne di counter-terrorism contro al Qaeda e Stato islamico, che in Africa stanno dilagando in mezzo anche al caos securitario prodotto dai precedenti e governi e dalle attuali giunte golpiste.

È in un contesto sociale disperato, caotico, economicamente debole che le istanze dei gruppi progrediscono e creano proselitismo. Il Sahel non è l’unica area africana dove le condizioni di sicurezza sono depauperate, ma è probabilmente quella in cui il contesto è peggiore. I golpe sono stati tutti scatenati dall’arrivo al potere di un gruppo di militari che si intesta la battaglia per la sicurezza del Paese al posto di governi spesso privi di iniziative e corrotti. Nel farlo, le critiche colpiscono anche i precedenti alleati di quelle amministrazione, ossia le forze occidentali, accusate di essere state poco efficienti. Questo, mescolato ai sentimenti anti-colonialisti reconditi, ha facilitato la penetrazione dei russi, che prima attraverso la Wagner e ora con i più ordinati e centralizzati Africa Corps hanno stretto accordi sulla sicurezza con le giunte, allungando i propri interessi a settori più strategici come quelli delle miniere.

Il golpe in Niger è diventato il simbolo di questo Sahel dilaniato, come spiegava la professoressa Ruth Santini (L’Orientale). All’inizio di questo mese, la leadership militare ha pubblicato un audio sui social media in cui lamentava che l’accordo di cooperazione bilaterale con il governo degli Stati Uniti, entrato in vigore nel 2012, aveva solo servito gli interessi di Washington ed era illegale. “Come possiamo parlare degli interessi del Niger quando gli americani pensano che i loro nemici debbano necessariamente essere i nostri nemici. Come possiamo parlare degli interessi del Niger quando gli Stati Uniti ci negano persino il diritto fondamentale di scegliere i nostri partner?” diceva la registrazione, presumibilmente riferendosi al nuovo patto russo del Niger.

La giunta sembrava utilizzare una voce generata da un’intelligenza artificiale che parlava in inglese per elencare diverse lamentele, incluso il reclamo che Washington aveva rifiutato di condividere informazioni contro il terrorismo con il Niger, nonostante quest’ultimo ospitasse una base militare statunitense. Di fatto le operazioni sono state interrotte nel 2017, dopo la morte di quattro Berretti Verdi in un’imboscata dello Stato islamico. Poi, dopo il golpe, le attività sono state ulteriormente ridotte. Infine la rottura, un cambiamento profondo da parte di Niamey, che ha sempre considerato gli Usa come un partner affidabile. Da aggiungere: la decisione anti-americana del mese scorso è arrivata dopo una visita a Niamey di Molly Phee, assistente del segretario di stato per gli Affari africani, e del generale Michael Langley, il capo del Comando Africa degli Stati Uniti. Pare che i due si siano lamentati della nuova relazione con Teheran (sempre più attivo in Africa). Attenzione perché in una lettera inviata all’attaché alla difesa degli Stati Uniti la scorsa settimana, i funzionari del Ciad hanno minacciato di annullare l’accordo sullo status delle forze con gli Stati Uniti, una mossa che minaccerebbe di cedere più influenza degli Stati Uniti in Africa alla Russia.

Come ha evidenziato più volte Nosmot Gbadamosi, che per Foreign Policy cura l’Africa Brief (uno dei punti di vista più lucidi e approfonditi sulle dinamiche africane), le richieste che gli africani prendano una posizione su questioni come la guerra russa in Ucraina sembrano essere al meglio paternalistiche e al peggio neo-coloniali. Lo stesso vale per questioni sulle partnership. Tale retorica fornisce ai leader autoritari un argomento facile contro le nazioni occidentali. La giunta nigerina e Mosca capiscono chiaramente che l’argomento funziona in termini di consenso. Niamey ha espulso diplomatici e truppe dall’ex potenza coloniale Francia e ha revocato un accordo contro la migrazione con l’Unione Europea, il che ha portato al ritorno di migranti e trafficanti attraverso Agadez, un picco che preoccupa Bruxelles – a maggior ragione se l’assenza delle operazioni americane dovesse facilitare le campagne di conquista territoriale di gruppi come l’IS, creando nuove ragioni per dislocamenti.



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