La posizione di Belgrado, esplicitata da un intenso lavorìo diplomatico da parte di funzionari di Belgrado nel Palazzo di Vetro, è che imprimere alla Serbia lo status di popolo genocida avrebbe come unica e immediata conseguenza una ripresa delle tensioni, in un’area molto delicata e soggetta a rapidi capovolgimenti di fronti. Il caso Kosovo è tutt’altro che vicino ad una normalizzazione istituzionale
Attacca a testa bassa la Serbia su Srebrenica e Kosovo, due temi che Belgrado pone al centro della sua attuale azione politica internazionale. Deciso il rinvio del voto su una risoluzione relativa al genocidio di Srebrenica, previsto in Assemblea generale dell’Onu il 2 maggio. Sulla situazione in Bosnia-Erzegovina si discuterà domani su richiesta della Russia. Vucic è stato per cinque giorni alle Nazioni unite per pressare diplomaticamente sui rappresentanti internazionali, spiegando la posizione di Belgrado. Dodik e Vučić contro la bozza di risoluzione, perché la sua approvazione minerebbe la sopravvivenza stessa del Paese. In caso di approvazione del testo nascerebbe la Giornata internazionale di riflessione e ricordo del genocidio di Srebrenica.
Qui Belgrado
A dimostrazione della delicatezza della questione, dopo la fine dell’Assemblea generale dell’Onu e la votazione sulla risoluzione su Srebrenica è stata convocata l’Assemblea del popolo serbo, su proposta del presidente della Republika Srpska Milorad Dodik. L’obiettivo dell’enclave è fornire una risposta “forte alle più gravi interdizioni morali, giuridiche e politiche preparate contro di lui”. Nell’incontro a Belgrado Dodik e Vučić hanno discusso tutti i problemi attuali della regione e Vučić ha informato Dodik sulla delegazione serba all’Onu riguardo alla proposta della Germania e delle altre grandi potenze di adottare la risoluzione su Srebrenica.
Secondo Vučić “la situazione per il popolo serbo è molto difficile e complessa e la Repubblica di Serbia ha fatto il massimo sforzo per proteggere non solo gli interessi vitali del popolo serbo, ma anche la verità e il diritto internazionale”. Di contro, Dodik ha informato Vučić della sua visita nella Federazione Russa: i due si rivedranno il prossimo 1 maggio a Belgrado per programmare una serie di iniziative di carattere economico.
Blocco Bosnia?
Il rischio, come esplicitamente dichiarato da Dodik è che dopo il 2 maggio, quando l’Assemblea generale dell’Onu dovrà discutere la risoluzione su Srebrenica, si verificherà un corto circuito. Se la risoluzione passerà all’Onu, Dodik ha dichiarato che la Bosnia-Erzegovina entrerà in un blocco definitivo, dal momento che i serbi “non coopereranno con i bosniaci quando questi vogliono denigrarli a livello globale, il 3 maggio non accadrà nulla di speciale, ma nei rapporti reciproci ci sarà una muraglia cinese”, ha detto Dodik a San Pietroburgo, dove ha incontrato il segretario alla sicurezza del Consiglio della Federazione Russa, Nikolai Platonovich Patrushev.
Dodik ha ripetuto che non c’è stato alcun genocidio a Srebrenica, accusando degli eventi la massima dirigenza statale e politica della Republika Srpska, cioè la Serbia. Dodik ha dichiarato che la parte serba chiede che in Bosnia-Erzegovina venga rispettato l’accordo di Dayton.
Scenari
La posizione di Belgrado, esplicitata da un intenso lavorìo diplomatico da parte di funzionari di Belgrado nel Palazzo di Vetro, è che imprimere alla Serbia lo status di popolo genocida avrebbe come unica e immediata conseguenza una ripresa delle tensioni, in un’area molto delicata e soggetta a rapidi capovolgimenti di fronti. Il caso Kosovo è tutt’altro che vicino ad una normalizzazione istituzionale, per cui in quel caso le relazioni tra vicini verrebbero compromesse una volta di più. La coda velenosa, sempre secondo la tesi di Belgrado, si ritroverebbe in Bosnia-Erzegovina, con la compromissione della stabilità nell’intera macro area, già gravata dalle conseguenze della guerra in Ucraina e dalle attenzioni di big players esterni.
Secondo il ministro degli Esteri Ivica Dacic anche sull’ammissione del Kosovo al Consiglio d’Europa la partita non è chiusa, anzi, la decisione finale verrà presa dal Comitato dei ministri degli Esteri del Consiglio d’Europa il prossimo 17 maggio, aggiungendo che alcuni importanti Paesi come Francia e Italia hanno espresso riserve.