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Ecco come il ritiro delle forze russe impatta sulla geopolitica nel Caucaso

soldati russi

Il ritiro del contingente russo dal Nagorno Karabakh segnala una trasformazione degli equilibri nel Caucaso. Secondo logiche regionali, ma anche dinamiche più ampie

Pochi giorni fa, Mosca ha annunciato il ritiro dei quasi duemila soldati del contingente di peacekeeping dispiegati nella regione del Karabakh sin dal 2020, sulla base degli accordi di cessate il fuoco stipulati da Armenia e Azerbaigian al termine del conflitto in Nagorno Karabakh scoppiato nell’autunno dello stesso anno. Il compito dei militari russi, il cui ritiro arriva diciotto mesi prima della conclusione della missione, prevista per novembre 2025, era quello di evitare ulteriori scontri tra le due fazioni e di garantire il rispetto di quanto stabilito dal suddetto accordo.

Ma così non è stato. Quando l’Azerbaigian ha imposto un blocco delle linee di rifornimento della regione a partire dal dicembre 2022, causando una crisi umanitaria, i militari russi non sono intervenuti. E poco prima che l’Azerbaigian iniziasse un’offensiva a sorpresa per prendere il pieno controllo del Nagorno Karabakh nel settembre del 2023, le forze di Mosca si sono ritirate dalle loro posizioni anziché agire come strumento di interposizione tra armeni e azeri. Permettendo così la ripresa degli scontri, e la conseguente crisi umanitaria dovuta alla fuga della popolazione armena dall’area. E anche se a dicembre il capo dello Stato Maggiore delle forze armate russe Valery Gerasimov ha dichiarato che “il nostro contingente militare continua a svolgere compiti di garanzia della possibilità di costruire una vita pacifica e del ritorno dei residenti nella regione”, nessun meccanismo di sorta che consenta ai rifugiati di tornare a casa è stato implementato.

L’annuncio del ritiro, in uno dei rari casi in cui le unità armate russe lasciano volontariamente e prematuramente il territorio di uno Stato post-sovietico, è dunque soltanto l’ultima tappa dello sganciamento di Mosca. Che, anche se in parte dovuto ad una rifocalizzazione verso l’Ucraina delle risorse militari disponibili, si inscrive in un più ampio distacco tra la Russia e l’Armenia, due Paesi che negli ultimi tempi stanno attraversando un momento di crisi nelle loro relazioni. Il Paese caucasico si sta infatti avvicinando sempre di più all’Occidente, allontanandosi di conseguenza dal tradizionale alleato. Solo poche settimane fa ha recentemente sfidato Mosca sospendendo la sua adesione al blocco militare russo Csto, subito prima di organizzare esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti. L’Armenia sta anche spingendo per una più stretta integrazione con l’Unione Europea.

Il ritiro dei peacekeeper russi segna in ogni caso una svolta significativa nell’influenza russa nel Caucaso meridionale, poiché il Cremlino non potrà più fare sulla sua presenza militare nella regione nelle future occasioni di interfaccia tanto con l’Azerbaigian quanto con l’Armenia. Allo stesso tempo, l’allontanamento delle forze straniere dal proprio territorio ha rafforzato in modo significativo la posizione geopolitica dell’Azerbaigian, il vincitore del conflitto in Nagorno Karabakh, che non ha mai apprezzato particolarmente la presenza di truppe di Mosca nella regione.

Hikmet Hajiyev, consigliere di politica estera del presidente azero Ilham Aliyev, ha dichiarato ai media che “il ritiro anticipato delle forze di pace russe… è stato deciso dai leader di entrambi i Paesi”. Mentre Aleksey Zhuravlev, primo vicepresidente della Commissione per la Difesa della Duma di Stato russa, ha dichiarato che la missione del contingente di pace può essere considerata “pienamente compiuta”, sottolineando che, poiché attualmente non ci sono parti in guerra in Karabakh, non c’è più bisogno della missione di pace. Molti analisti della regione si interrogano sul come i due Paesi si siano accordati in merito. Anche la tempistica del ritiro solleva interrogativi. Meno di due settimane prima dell’annuncio, il capo dell’Agenzia nazionale dell’Azerbaigian per l’azione contro le mine aveva annunciato in un briefing del 4 aprile che erano in corso negoziati con Mosca per il coinvolgimento del contingente di pace russo nelle operazioni di sminamento. “Sono già in fase di accreditamento. Tecnici, cani e uomini inizieranno presto il processo di sminamento a Khojaly”. Ma le cose sembrano essere andate diversamente.

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