La vita di Giacomo Matteotti, prima dell’assassinio per mano fascista, fu spesa in nome del socialismo riformista, che in Italia morì con lui mentre in Europa ha attecchito fungendo da stella polare del progressismo occidentale. Antonio Funiciello nel suo ultimo libro tratteggia la storia del leader socialista
La vita prima della morte. Il seme dell’ideale gettato prima del martirio per mano fascista. È un’altra lettura su ciò che fu Giacomo Matteotti e, più in generale, il socialismo riformista che portò avanti assieme, tra gli altri, a Filippo Turati. Si chiama Tempesta. La vita (e non la morte) di Giacomo Matteotti (Rizzoli) ed è l’ultimo libro dell’ex capo di gabinetto di Paolo Gentiloni e Mario Draghi, Antonio Funiciello. Proprio l’autore, spiega a Formiche.net la ratio di aver scritto un libro con questo taglio per “ricordare la vita appassionata, sul crinale del socialismo riformista” di uno fra i più strenui antifascisti della storia del Novecento del quale il 10 maggio ricorrono i cento anni dall’assassinio.
Funiciello, perché concentrarsi sulla vita piuttosto che sull’assassinio di Matteotti?
L’uccisione del leader socialista è sicuramente un passaggio determinante e decisivo per la storia del Novecento, perché è l’evento che sancisce anche simbolicamente il passaggio tra democrazia liberale e degenerazione nella dittatura. L’esistenza di Matteotti fu tuttavia caratterizzata da un periodo di grandi lotte, ben prima della sua uccisione e che gettarono il seme del socialismo riformista che, dopo la sua morte, cessò di esistere in Italia ma attecchì in altri Paesi europei.
Perché Matteotti venne identificato dal Fascismo dei primordi come uno fra i principali nemici?
Era una figura rischiosa per il Fascismo e per Mussolini. Assieme a Turati, Amendola e Sturzo, aveva capito che era possibile un’alternativa realistica alla degenerazione dittatoriale. Matteotti era per la costruzione di un’alleanza di governo tra socialisti riformisti, popolari e liberali.
Erano più insidiosi anche dei comunisti come Gramsci e Togliatti?
Certo. I socialisti avevano accettato di impegnarsi dentro il perimetro sancito dallo Statuto Albertino, mentre i comunisti professavano la rivoluzione che non avrebbe mai potuto compiersi. Matteotti e Turati avevano a cuore lo stato liberale, molto più di alcuni liberali come Giovanni Giolitti e Benedetto Croce, che si spese contro il Fascismo meritoriamente ma tardivamente.
Che cosa ci racconta oggi l’esperienza politica di Matteotti?
Come ho detto il socialismo riformista in Italia è morto con Matteotti, ma è stato alla base di moltissimi sistemi democratici in tutta Europa. La social democrazia – si pensi alla Francia, alla Germania, alla Spagna, al Regno Unito – è stata la protagonista dell’evoluzione dei sistemi democratici stessi. In Italia tutto questo non è avvenuto.
Va detto però che, in Italia, il Psi riuscì ad esprimere un presidente del Consiglio: Bettino Craxi.
Non c’è dubbio che sia Pietro Nenni che Bettino Craxi abbiano provato a far rivivere l’autonomismo socialista portato avanti con convinzione da Matteotti. Basta pensare che nel 1924 fece togliere dal simbolo del partito la falce e il martello. C’è, quindi, un legame in questo senso, che lega le idee di Matteotti-Turati a quelle di Nenni- Craxi. Tuttavia, il socialismo riformista in Italia è terminato proprio con l’assassinio di Matteotti.
Cosa, invece, distingue gli altri Paesi europei in questo senso?
Il socialismo riformista è una fra le principali matrici del progressismo occidentale. In Spagna e in Germania i primi ministri sono di estrazione e provenienza socialista. A Londra avremo un premier e una maggioranza laburisti.