L’obiettivo di una sovranità assoluta per lo Stato nazionale non è solo un mito carico di pericolosità, è ancor più un’illusione. In molti ambiti un ordinato sovranazionalismo è la premessa necessaria per mantenere ambiti di decisione effettiva anche a livello nazionale. Con la Francia il nostro Paese ha stipulato l’accordo del Quirinale: un passaggio importante in ottica di integrazione europea. Ora bisogna impegnarsi a tradurre la teoria in pratica. Conversazione con Gaetano Quagliariello, presidente della Fondazione Magna Carta
Come si declina, al giorno d’oggi, il concetto di sovranità? Non c’è dubbio che questo sarà uno dei temi che caratterizzerà la campagna elettorale per le Europee di giugno. Assodato (per i più) che la sovranità assoluta per i singoli stati sia “un mito carico di pericolosità o, ancor di più, un’illusione” a questo punto resta da capire quale sovranità attribuire all’Europa. Ed è proprio su questo che si concentra – assieme a scandagliare i rapporti che intercorrono tra il nostro Paese e la Francia – l’ultimo lavoro della Fondazione Magna Carta, L’Europa e la sovranità. Riflessioni italo-francesi (1897-2023) scritto a sei mani da Maria Elena Cavallaro, Dominique Reynié e dal presidente della fondazione, Gaetano Quagliariello che nella sua conversazione con Formiche.net ne tratteggia gli aspetti più salienti.
L’ultimo volume della Fondazione Magna Carta rappresenta una ricognizione storico-politica dei passaggi che hanno garantito il processo di integrazione europea. All’esito del lavoro, a che punto siamo in termini di integrazione nel continente di oggi?
Il lavoro – che verrà presentato a Parigi domani – consiste in un’antologia di scritti di statisti, politici e intellettuali italiani e francesi sul tema dell’integrazione, nel corso del XX e XXI secolo. Questi interventi, che vanno da Einaudi e Draghi, sono divisi in tre grandi blocchi: l’età della fondazione, l’età del consolidamento e quella della globalizzazione. La prima arriva fino al Trattato di Roma; la seconda fino alla caduta del Muro e quella nella quale siamo immersi prende avvio dall’allargamento necessitato dopo l’implosione dell’impero sovietico, per impedire ad alcuni Paesi la prospettiva del limbo geo-strategico: un tema del quale la guerra russo-ucraina ci ha fatto comprendere meglio le implicazioni. Dalla raccolta emerge che il processo d’integrazione ha avuto, nel corso della storia, alti e bassi. Ma c’è un nodo gordiano che non è mai stato del tutto sciolto: quello della sovranità da attribuire all’Europa e come questa sovranità debba configurarsi rispetto a quella esercitata dai singoli Stati dell’Unione. Senza sciogliere questo nodo, a me pare sarà difficile che il processo di integrazione possa proseguire in modo ordinato e comprensibile.
Il filo rouge del volume è rappresentato dal tema della sovranità. Nel dibattito italiano e internazionale, ci si pone sempre di più il tema di quale sovranità sia attualmente da perseguire. Siamo pronti a una sovranità europea?
Il problema è che la globalizzazione ha comportato una forte complessità nell’ambito dei rapporti sia economici che politici. Nel mondo di oggi, perseguire l’obiettivo di una sovranità assoluta per lo Stato nazionale non è solo un mito carico di pericolosità, è ancor più un’illusione. In molti ambiti un ordinato sovranazionalismo è la premessa necessaria per mantenere ambiti di decisione effettiva anche a livello nazionale. Per questo, dal punto di vista teorico, non solo siamo pronti; un certo grado di sovranità europea è persino necessaria, anche per chi tiene a cuore che la dimensione della politica nazionale non venga del tutto svuotata.
Può esserci sovranità senza sovranismo?
La sovranità so cosa sia, il sovranismo no. Si tratta di un concetto esasperato che presuppone che la sovranità possa essere un attributo assoluto e intangibile dello Stato. Nella realtà effettuale le cose non stanno mai così: persino un accordo bilaterale implica una parziale cessione di sovranità. Il problema, dunque, è un altro: che le cessioni di sovranità siano consapevoli e che la quota di sovranità che viene devoluta sia recepita da una entità sovraordinata della quale la nazione che devolve sia partecipe. In tal caso, si evitano le opacità e, soprattutto, si evita che la sovranità che fuoriesce dall’ambito nazionale evapori, concedendo spazio a soggetti che si trovano all’esterno del circuito democratico e che per questo sfuggono a ogni forma di controllo.
Qual è, in questo momento, lo stato dei rapporti fra il nostro Paese e la Francia?
Il Trattato del Quirinale rappresenta un esempio di “cooperazione bilaterale rafforzata” che è giunto a integrare quell’asse franco-tedesco che fin qui ha rappresentato la portante del processo d’integrazione. Per il nostro Paese si tratta, dunque, di un’occasione importante. Bisognerebbe impegnarsi a far sì che quanto scritto in quell’atto non resti sulla carta o, addirittura, venga contraddetto dai fatti. Per dare seguito a quegli impegni, però, bisogna essere in due a volerlo.
Ci stiamo avvicinando a un appuntamento elettorale fondamentale per l’Ue di domani. Riusciremo a perseguire gli obiettivi di politica estera e difesa comuni delle quali c’è una necessità sempre crescente?
Se l’Europa vuole continuare a contare, riuscirci è necessario. La storia dell’integrazione ci insegna che il momento nel quale l’Europa è andata più vicina a sciogliere il nodo gordiano della sovranità è stato quando stava per nascere l’Esercito Europeo. Allora l’italiano Alcide De Gasperi presentò l’articolo 38 del Trattato che dava vita ad un vero nucleo di potere sovrano condiviso. Cambiò, però, lo scenario, la guerra si allontanò e l’occasione svanì. Oggi ci si ripresenta. Non c’è da esserne lieti, perché ciò significa che lo stato del mondo è tornato ad essere quanto mai pericoloso. Questa, però, è una ragione in più per non perdere, una volta ancora, la grande occasione.