“L’accordo provvisorio raggiunto da Consiglio e Parlamento europeo sullo Spazio europeo dei dati sanitari rappresenta un passo avanti decisivo”. Conversazione con Pietro Derrico, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico della Società italiana di Health technology assessment (Sihta) e ceo di ConsulHta
Recentemente, il Consiglio e il Parlamento dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo provvisorio riguardante lo European health data space. Una misura che dovrebbe garantire ai cittadini europei un accesso più snello ai propri dati sanitari elettronici, indipendentemente dal territorio in cui si trovano, assicurando però al contempo un maggiore controllo sulle modalità di utilizzo dei dati stessi. Questo progresso rappresenta un passo significativo verso il miglioramento della salute pubblica e la stimolazione dell’innovazione nel settore sanitario. Tuttavia, le sfide legate alla burocrazia, alle regolamentazioni sulla privacy dell’Ue e alla frammentazione tra i Paesi membri potrebbero influenzarne l’attuazione. Per capirne di più, ne abbiamo parlato con Pietro Derrico, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico della Società italiana di Health technology assessment (Sihta) e ceo di ConsulHta.
Recentemente, il Consiglio e il Parlamento dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo provvisorio riguardante lo European health data space. In che modo influenzerà la gestione e l’accesso ai dati sanitari nell’Unione europea?
L’accordo provvisorio raggiunto dal Consiglio e dal Parlamento europeo sullo Spazio europeo dei dati sanitari (Ehds) rappresenta un passo avanti decisivo (sebbene il regolamento deve ancora essere formalmente votato e adottato dal Parlamento e dal Consiglio europeo, la cui composizione e i conseguenti orientamenti potrebbero essere modificati dalle prossime elezioni europee), verso la creazione di un ecosistema digitale sicuro e interoperabile per la condivisione e l’utilizzo dei dati sanitari nell’Ue. L’accordo avrà un impatto significativo sulla gestione e l’accesso ai dati sanitari in diversi modi: faciliterà, in primis, la vita dei cittadini europei avendo la possibilità di recuperare e condividere i dati per le proprie esigenze di salute; determinerà l’implementazione di un sistema di codifica e interoperabilità dei dati, che ne permetterà la condivisione a livello europeo; darà ulteriore impulso alla digitalizzazione, in termini di infrastrutture e di competenze, sia dei professionisti sanitari sia dei cittadini. In sintesi, l’accordo provvisorio sull’Ehds avrà un impatto positivo sulla gestione e l’accesso ai dati sanitari nell’Ue. L’Ehds dovrebbe migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria, accelerare la ricerca medica e promuovere l’innovazione nel settore sanitario. Tuttavia, ci sono ancora alcune sfide da affrontare, come la frammentazione dei sistemi sanitari nazionali (che spesso al loro interno non risultano interoperabili) e la necessità di rafforzare le competenze digitali.
In che misura ritiene che lo scambio e l’accesso ai dati sanitari, su scala comunitaria, siano fondamentali per migliorare sia la salute pubblica che l’efficienza economica dei sistemi sanitari europei? Quali benefici specifici ne derivano?
Tanti sono i benefici per il cittadino/paziente e sotto il profilo della sanità pubblica, a partire dalle diagnosi e dai trattamenti migliori resi possibili dallo scambio e dalla disponibilità di dati sanitari tra i diversi sistemi sanitari e/o tra i diversi livelli di uno stesso Servizio sanitario nazionale; allo sviluppo di nuove tecnologie sanitarie, farmaci e dispositivi medici in primis, con un focus suggestivo sulla medicina personalizzata; alla migliore capacità di sorveglianza della salute pubblica, elemento di cui tutti, dopo la drammatica esperienza della pandemia da Covid-19, dovremmo avvertire l’importanza. Al potenziale incremento degli outcome corrisponde anche un aumento dell’efficienza dei sistemi: una siffatta disponibilità di dati non solo consente una maggiore velocità nelle attività di ricerca e sviluppo di prodotti e processi, ma ne contrae proporzionalmente i costi; migliorerà le analisi di appropriatezza delle prestazioni e conseguente riduzione degli sprechi e incremento della efficienza allocativa; consentirà, banalmente, al singolo cittadino, di non dover ripetere esami in maniera inutile, elemento preziosissimo anche nella prospettiva della mobilità europea dei pazienti che cercano diagnosi e cure migliori.
Condivisione dei dati versus privacy. Questi due elementi sono necessariamente antinomici o possono essere considerati alleati per il raggiungimento di uno stesso unico traguardo, individuabile nella tutela del cittadino, in tutti i suoi diritti?
Non essendo un esperto di privacy, posso solo auspicare che l’Ehds contribuisca a risolvere quella che, ad oggi, è ancora purtroppo una condizione di forte contrasto tra i due obiettivi. Questo perché, soprattutto in ambito di ricerca scientifica o, più banalmente, di misurazione delle performance dei sistemi sanitari, pur a fronte di tutta una serie di attività tecniche in grado di garantire la più totale privacy del singolo individuo, sono incredibilmente (e, spesso, irragionevolmente) numerosi i vincoli posti dal Gdpr che si determina l’impossibilità di eseguire attività potenzialmente utili per la collettività. Insomma, sono elementi da considerare alleati ed occorrerebbe, infatti, la saggezza che mi aveva insegnato un mio grande amico, medico e maestro di vita, ai tempi del Politecnico di Torino quando mi allertava che “non bisogna mai fare l’errore di contrapporre due cose giuste”.
Qual è, dunque, secondo lei, il bilanciamento ideale tra la condivisione dei dati sanitari e la tutela della privacy nel contesto sanitario? Ci sono specifici meccanismi o politiche che suggerirebbe per mantenere tale equilibrio
Come dicevo, non posso definirmi un esperto di privacy. Al contrario ho una percezione del problema forse troppo polarizzata sugli aspetti di raccolta e utilizzo di dati sanitari, in senso lato, utili per scopi di ricerca nonché al miglioramento delle prestazioni e delle condizioni di salute della popolazione. Se da un lato devono essere poste in essere tutte le misure utili per contrastare eventuali abusi e/o azioni malevole, dall’altro dovrebbe essere assai facilitato, almeno rispetto all’attuale situazione, la possibilità di raccolta ed elaborazione dei dati. Da quest’ultimo punto di vista mi sembra che alcuni passaggi della proposta di regolamento, in particolare quelli relativi alla gestione e all’utilizzo dei dati secondari, vadano nella direzione auspicata.
L’accordo sullo European health data space rappresenta un progresso significativo per la salute dei cittadini europei. Tuttavia, considerando le tempistiche della “macchina” europea, i limiti della burocrazia, il semestre vigente all’alba di nuove elezioni, rischiamo che i risultati dell’accordo si vedano solo nel lunghissimo termine?
Il già citato accordo sullo Ehds rappresenta senza dubbio un passo avanti significativo per la salute dei cittadini europei ma, come ha correttamente sottolineato, diversi aspetti legati ai meccanismi legiferativi dell’Ue potrebbero rallentarne l’implementazione procrastinandone i benefici nel breve termine. Tuttavia, mentre, la “macchina burocratica”, in qualche modo, mette al riparo da stravolgimenti dell’accordo, occorre avere ben presente che sussistono rilevanti questioni di tipo tecnologico e infrastrutturale che dovranno essere affrontate e risolte, con le necessarie risorse e con i tempi adeguati, prima di dare vita all’Ehds.
Parlando del contesto italiano, qual è la sua valutazione sull’attuale stato della cultura della Hta nel nostro Paese? Ritiene che l’Italia sia allineata con le migliori pratiche europee in questo ambito?
La spinta determinata dai nuovi regolamenti europei sui medical device e sull’Hta dell’ultimo triennio, ha certamente “risvegliato” l’interesse del legislatore e dei governi sul tema della valutazione delle tecnologie sanitarie, specialmente quelle più innovative per impatto clinico e/o economico. In Italia, è attivo il programma nazionale DM 2033÷2025, gestito da Agenas, per il quale è stato previsto un finanziamento ad hoc, garantito da una tassa di scopo sui fatturati delle aziende medtech. Tuttavia, ad oggi siamo ancora in una fase interlocutoria, con l’Agenzia che sta costruendo, non senza difficoltà, la rete dei centri collaborativi. Penso sia ragionevole ipotizzare che tali difficoltà derivino dall’onda lunga della Finanziaria 2015, che ha reso assurdamente “illegali” le unità di Hta nel Ssn, di fatto disperdendo competenze fondamentali per l’operatività dell’Hta nazionale, possibile e necessaria in tutte le fasi della vita delle tecnologie ma anche ad ogni livello istituzionale. Ad ogni modo, una volta avviato il processo deciso dal legislatore, dovranno essere definiti tutta una serie di meccanismi per far sì che l’Hta incida sulla programmazione e sulla spesa sanitaria, come ad esempio accade in Francia e Germania, dove l’Hta è un tassello fondamentale nella definizione dei Drg e delle tariffe, dei volumi di prestazioni, e del complessivo budget sanitario nazionale ma anche della diffusione rapida e verificata dell’innovazione tecnologica a favore dei pazienti e per il congruo ritorno di quelle imprese che hanno investito in una buona ricerca industriale per migliorare la salute dei cittadini.