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Israele ha vinto grazie alle sue difese, ma attenzione alle munizioni. Parla Camporini

L’attacco iraniano è stato tutt’altro che simbolico, ed è fallito solo grazie alla superiorità dimostrata dalle capacità di difesa israeliane e occidentali. L’offensiva massiccia ha però richiesto un robusto utilizzo di sistemi, e la lezione da apprendere è che mai come in questo momento bisogna avere la garanzia di conservare e produrre un numero sufficiente di munizioni. Intervista al generale Vincenzo Camporini

Oltre trecento ordigni, tra missili (da crociera e balistici) e droni, sono stati lanciati contro Israele, dei quali però il 99% è stato intercettato e distrutto, alcuni prima ancora di entrare nello spazio aereo israeliano. Sebbene fallita, l’offensiva di Teheran registra l’escalation della tensione nella regione, ma non bisogna fare l’errore di pensare che si sia trattato solo di un atto simbolico. Airpress ne ha parlato con il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa.

L’attacco iraniano è stato definito come un atto principalmente dimostrativo, portato avanti senza reale convinzione. Quanto è vera questa lettura, e quanto invece si è trattato di un’offensiva vera e propria, per quanto fallita?

Non si può in alcun modo sostenere la tesi che si sia trattato di un attacco puramente dimostrativo. Siamo in presenza di un’offensiva condotta con oltre trecento ordigni, di tipologie diverse, che quindi richiedono modalità di intercettazione diverse, provenienti da più punti e dirette su tutto il territorio israeliano. Sostenere che tutto questo sia stato condotto tanto per fare, senza cattive intenzioni, è veramente una grande menzogna.

Che tipo di azione è stata?

L’Iran ha condotto il suo attacco con i sistemi più moderni di cui dispone. Il fallimento dell’operazione di Teheran è fallito perché le difese di Israele si sono dimostrate estremamente efficaci, supportate anche dalla disponibilità di velivoli da caccia americani, inglesi e francesi, oltre al supporto di Giordania e dell’Arabia Saudita. Si è trattato di una vera e propria battaglia aerea che l’Iran ha lanciato e nella quale è stata sconfitta, mentre Israele ha vinto. Se c’è una lezione da imparare è che possiamo prendere atto del fatto che la tecnologia occidentale è in grado di contrastare le tecnologie di cui dispongono gli altri. Ma dobbiamo anche stare attenti…

In che senso?

L’unico aspetto negativo che emerge dall’attacco è che da parte israeliana, per contrastare questo attacco massiccio, sono state impiegate in maniera altrettanto robusta le riserve di munizionamento che riguardano i sistemi di difesa antiaerea, l’Arrow 3, il David’s sling e l’Iron dome. Bisogna fare molta attenzione quando si consumano le munizioni, essendo sicuri di avere la garanzia di conservarne e produrre un numero sufficiente a non rimanere sguarnito.

L’Iran ha sbagliato i suoi calcoli, e qual era il suo obiettivo?

L’obiettivo era quello di punire Israele per quello che è stato fatto Damasco con una pioggia di fuoco sulle città israeliane, con danni che prescindevano il concetto di obiettivi militari o civili. Un bombardamento indiscriminato. Questo obiettivo è fallito. Il fatto che poi Teheran sbandieri questa operazione come un grande successo è finalizzato esclusivamente all’opinione pubblica interna, e ai problemi di consenso che comunque, in Iran, non è così garantito.

Che scenari futuri ipotizza adesso?

L’evento in sé è un successo per Israele, e quindi dovrebbe essere percepito e mostrato come tale. Il quadro geopolitico generale, però, dovrebbe invitare Israele a evitare assolutamente qualsiasi tipo di reazione, perché ne trarrebbe un danno politico largamente superiore a qualsiasi risultato positivo dal punto di vista strategico.


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