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Tre punte per la partita del centrodestra alle europee. Le metafore di Tivelli

Come si presenta la coalizione del centrodestra alla prossima competizione elettorale? La formazione, per usare una metafora calcistica, sembra fatta da tre punte, ma una è spuntata. La riflessione di Tivelli

E così la coalizione di governo si presenta alla partita su base proporzionale delle elezioni europee con tre punte diversamente autorevoli, salvo che una delle tre si riveli non poco spuntata. Visto che scriviamo sulla base di metafore calcistiche, vediamo le tre punte.

La premier Giorgia Meloni ha mostrato di sapersi muovere bene anche nelle tattiche europee (pur partendo con qualche handicap antieuropeo) ma, nel contempo, deve esercitare le funzioni di presidente del Consiglio. E soprattutto tappare i buchi creati da un populista avvocato-premier (avvocato dei ricchi) come Conte, che genialmente aveva regalato a tanti ricchi italiani il super bonus del 110%. Con un’ipoteca tremenda sulla finanza pubblica che non coinvolge solo l’impegno della premier e leader di Fratelli d’Italia per cercare di tappare i buchi, ma anche quello di uno dei migliori esponenti della Lega in circolazione, il ministro dell’Economia Giorgetti, alla ricerca disperata di come tappare le falle create dall’avvocato dei ricchi Conte quando fungeva da premier.

Più tranquilla sembra la condizione di Antonio Tajani, capolista a tappeto di Forza Italia, con sana esperienza europea alle spalle e raro esempio di politico “Glocal” del nostro Paese. Che come segretario di Forza Italia sembra aver fatto essenzialmente due azioni: radicare il suo partito di più sul territorio e farne il partito non populista e double-face (o partito centauro – di centro ma leale al centrodestra), capace di pescare voti anche nel bacino del centro.

La terza punta (chiamato a giocare nell’agone politico elettorale nonostante vesta ancora la divisa) nella partita elettorale è il già visto generale Vannacci, un po’ stoppato dall’ottimo ministro della Difesa Guido Crosetto già nell’agosto del 2023. La politica italiana, presa dal presentismo e dall’”oggicrazia”, così come non poca parte del giornalismo, poteva capire benissimo da subito che il generale Vannacci è una sorta di mina vagante.

Ecco, quindi, in questi giorni, un bombardamento di articoli più o meno ripetitivi sul caso Vannacci. Come se il caso fosse iniziato da oggi. Mi sembrava già chiaro che non solo un generale deve servire la Repubblica con disciplina e onore, come sostiene la Costituzione, ma essere ben più attento di altri servitori dello Stato quando parla e scrive con la divisa addosso. Vannacci è un generatore di tormentoni, credo molto abile, perché dai tormentoni alimentati da troppi tromboni (anche inconsapevoli) gli deriva, in qualche modo, ampia pubblicità.

L’ultima frescaccia da lui sostenuta, con tutte le proteste o prese di distanza politiche che ne sono conseguite, è quella sulle “classi separate” per i portatori di handicap. Ovviamente, proteste e prese di distanza legittime, a cominciare da quella del ministro della Pubblica Istruzione Valditara e dal ministro dell’Economia Giorgetti, entrambi del partito che l’ha lanciato come seconda (o terza?) punta nell’agone elettorale: la Lega di Salvini.

Ho sempre pensato che ci sia una questione di fondo e sostanziale dietro tutto questo. È noto che da tempo il virus del populismo colpisce anche l’Italia: si pensi al populismo di Conte o di strani esponenti del Pd come il presidente della Regione Puglia Emiliano, o a quello di origine di non pochi esponenti di Fratelli d’Italia. Il fatto è che il populismo è come un virus, e come tale soggetto a continue mutazioni. Il “vannaccismo”, impregnato di luoghi comuni (sui gay, sugli immigrati, oggi sulle classi separate e su tanti altri aspetti) non è solo una nuova versione del “luogo-comunismo”, ma è l’ultima versione in ordine di tempo della mutazione del virus del populismo.

Forse, a questo punto, la terza punta del centrodestra, non appartenente alla squadra degli iscritti alla Lega, talvolta potrà andare in goal ma più di qualche arbitro non lo assegnerà. In questo quadro, l’elemento significativo credo stia nel fatto che quel meno di 50% di italiani che probabilmente andrà al voto è fatto di tanti che “non la bevono”, gli “apoti” di Prezzolini e forse potranno preferire i programmi, i contenuti per l’Europa di Meloni o di Tajani alle sparate di un generale che intende giocare a calcio con la divisa addosso, buttando troppo spesso in modo eclatante il pallone in tribuna.

Dove, probabilmente, ci sarà un pubblico, appunto, di meno del 50% dei titolari del diritto di voto, ma anche abbastanza critico ed esigente…

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