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Trump amico della Russia? Non proprio. L’analisi di Graziosi

Se l’ex presidente Usa, candidato alle prossime presidenziali, non avesse dato il suo assenso, il pacchetto di aiuti all’Ucraina non sarebbe stato approvato dal Congresso come invece è accaduto. L’amministrazione Trump già in passato si era rivelata meno tenera con la Russia di quanto si raccontasse. L’analisi di Stefano Graziosi

I nuovi aiuti americani all’Ucraina non sarebbero probabilmente stati approvati se Donald Trump non avesse dato il suo assenso. A provarlo sta lo Speaker della Camera, Mike Johnson, che ha svolto un ruolo cruciale per ottenere il via libera al pacchetto. Inizialmente scettico, proprio Johnson si è man mano mostrato più aperturista, fino a diventare il principale sostenitore del provvedimento. Ebbene, da questo punto di vista, vanno sottolineati alcuni elementi.

Innanzitutto Johnson è storicamente assai vicino all’ex presidente repubblicano: non a caso, a novembre scorso aveva dato il suo endorsement alla corsa presidenziale dello stesso Trump. In secondo luogo, proprio per la sua posizione progressivamente filo-ucraina, lo Speaker, a fine marzo, era stato attaccato dall’ala trumpista dura e pura del Partito Repubblicano, tanto che la deputata Marjorie Taylor Greene aveva già all’epoca iniziato a invocare una sua destituzione. Eppure, il 12 aprile, Trump si è schierato al fianco dello Speaker. “Sta facendo davvero un ottimo lavoro in circostanze molto difficili”, affermò l’ex presidente, di fatto impedendo che eventuali sforzi per estromettere Johnson avessero successo. Uno scenario, quello della destituzione, che – se si fosse concretizzato – avrebbe quasi certamente portato al naufragio degli aiuti a Kyiv.

Non solo. Pochi giorni prima che la Camera votasse a favore del pacchetto di aiuti, Trump, pur auspicando un maggiore impegno economico europeo nella crisi ucraina, dichiarò: “La sopravvivenza e la forza dell’Ucraina dovrebbero essere molto più importanti per l’Europa che per noi, ma lo sono anche per noi”. E non è finita qui. Dopo l’approvazione degli aiuti, l’ex presidente ha ribadito il suo sostegno allo Speaker della Camera. “Beh, guardate, abbiamo la maggioranza di uno, ok? Non è che possa andare e fare quello che vuole. Penso che sia un’ottima persona. Sapete, è stato fortemente dalla mia parte sulla Nato”, ha detto, per poi aggiungere: “Penso che si stia impegnando molto”. Parole significative, anche alla luce del fatto che la Taylor Greene sta continuando a invocare il siluramento dello Speaker. Lo stesso Volodymyr Zelensky, in un’intervista rilasciata a Nbc News subito dopo il via libera agli aiuti da parte della Camera, ha detto di “non credere” alle “dicerie”, secondo cui il candidato repubblicano sarebbe intenzionato a cedere territorio ucraino a Mosca.

Ovviamente, la presa di posizione di Trump non è passata inosservata, agitando le acque nel Partito Repubblicano. Steve Bannon, la cui influenza risulta comunque meno decisa di un tempo nel variegato mondo trumpista, è andato su tutte le furie, criticando l’approvazione del pacchetto. Una linea che, pur non mettendo esplicitamente nel mirino l’ex presidente, di certo ha marcato una certa distanza da lui. Dall’altra parte, il senatore repubblicano Lindsey Graham – una figura mai granché amata dalla base trumpista dura e pura – ha dato all’ex presidente il merito dell’ok agli aiuti. “C’è una componente di prestito. Tutto questo non sarebbe passato senza il presidente Trump. Voglio ringraziare lo Speaker della Camera e Hakeem Jeffries che lavorano insieme in modo bipartisan per dare armi all’Ucraina”, ha affermato.

Insomma, che cosa sta succedendo? In primis, va ricordato che, al netto di una certa narrazione, l’amministrazione Trump non fu granché tenera nei confronti della Russia. Fu Trump, nel 2019, ad approvare le sanzioni al gasdotto Nord Stream 2. E fu sempre Trump, nel 2018, a lasciare il controverso accordo sul nucleare con l’Iran, irritando Mosca. In secondo luogo, non va trascurato che, nelle scorse settimane, l’ex presidente ha avuto contatti con vari leader internazionali, tra cui il ministro degli Esteri britannico, David Cameron, e il presidente polacco, Andrzej Duda. Con entrambi Trump ha parlato di Nato e crisi ucraina: e Duda, stretto alleato di Trump, è storicamente su posizioni assai dure nei confronti di Mosca. L’ok de facto al pacchetto per l’Ucraina va quindi letto (anche) come un segnale di rassicurazione, che il candidato repubblicano ha voluto mandare al proprio network internazionale in vista di un eventuale ritorno alla Casa Bianca. D’altronde, è importante sottolineare che la fase delle primarie si sta ormai concludendo: ragion per cui, l’ex presidente ha necessità di ammorbidire la retorica isolazionista. Un terzo fattore da considerare è che Trump non ha grossi interessi a promuovere un appeasement verso Vladimir Putin: un simile scenario rischierebbe infatti soltanto di rendere la Cina più proterva e baldanzosa nell’Indo-Pacifico.

Tutto questo non significa però che, in caso di ritorno alla presidenza, Trump non tenterebbe quella strada diplomatica da lui più volte ventilata: il che, nella sua logica, sarebbe soltanto in apparente contraddizione con il via libera agli aiuti ucraini. Per capirlo, basta leggere un editoriale dell’attuale consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Keith Kellogg, apparso a febbraio sul Washington Times. “Se l’America riesce ad affrontare i negoziati con la Russia da una posizione di forza, consentendo all’Ucraina di ottenere un significativo vantaggio tattico sul campo di battaglia e ristabilendo una deterrenza americana credibile, gli Usa possono guidare il conflitto verso la risoluzione”, ha scritto. L’idea di Trump, in altre parole, potrebbe essere stata quella di inserire l’ok agli aiuti in una determinata cornice: avviare innanzitutto un ripristino della deterrenza americana verso Mosca, per poi inaugurare eventualmente delle trattative con la pistola poggiata sul tavolo. Non sappiamo se l’ex presidente abbia realmente intenzione di intraprendere questa strada. Così come non sappiamo se, in caso, tale strada possa avere successo. Tuttavia, almeno per ora, è molto probabile che Trump punti a muoversi in quest’ottica.


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