In un tentativo di autoprotezione, la Russia blocca in sede Onu il rinnovo di una commissione di controllo sulla Corea del Nord che si stava concentrando sul trasferimento di risorse militari da Stati Esteri. Mentre Pechino si astiene
L’interdipendenza tra il conflitto in Ucraina e lo sviluppo militare della Corea del Nord, nonché la sua integrazione all’interno del “blocco revisionista”, continua a crescere in maniera costante col passare del tempo. L’ultimo passo di questo processo di crescita è avvenuto alla fine dello scorso marzo, non in Europa, né in Asia, ma in America. E nello specifico a New York, dentro il Palazzo di Vetro. Durante una riunione del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, la delegazione russa ha esercitato il proprio potere di veto per bloccare il rinnovo del mandato a un panel di esperti delle Nazioni Unite responsabile di controllare il rispetto delle sanzioni internazionali da parte della Corea del Nord delle sanzioni internazionali imposte nei suoi confronti quasi 20 anni fa per via dei suoi piani di sviluppo di armi nucleari e missili balistici.
Nella questione si possono individuare dettagli interessanti. A partire dalle dichiarazioni dello stesso panel, che nel suo ultimo aggiornamento rilasciato proprio a marzo affermava di concentrare le proprie indagini sulle segnalazioni di “trasferimento di materiale bellico”. Sin dall’autunno del 2022 la Federazione Russa e la Corea del Nord hanno rafforzato notevolmente la loro cooperazione bilaterale: Pyongyang ha rifornito le forze armate russe di innumerevoli quantità di munizioni prodotte sul territorio che si sviluppa al di sopra del trentottesimo parallelo, per via della compatibilità, dovuta principalmente all comune origine sovietica, dei sistemi d’arma coreani con quelli russi; in cambio di questo flusso di proiettili a dir poco vitale (le dinamiche d’attrito della nuova conformazione assunta dal conflitto in Ucraina richiedono ampissime disponibilità di munizioni per sperare di poter sopraffare il nemico), il presidente russo Vladimir Putin avrebbe garantito al dittatore nordcoreano Kim Jong Un, il quale per incontrarsi con il leader russo si è persino recato in Russia in uno sei suoi rarissimi viaggi all’estero, una serie di vaghe contropartite, dalle derrate di cibo a riserve di combustibili, fino ad un supporto più o meno diretto al programma di espansione militare del regime di Pyongyang.
Dietro alla decisione russa di imporre il veto sul rinnovo della commissione di esperti potrebbe (mal)celarsi un tentativo di proteggere la propria posizione. “Per noi è chiaro che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non può più utilizzare vecchi modelli in relazione ai problemi della penisola coreana” è la giustificazione fornita dalla portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, mentre il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov si è limitato ad affermare che il veto posto dalla Russia è in linea con gli interessi del Paese.
Altro dettaglio interessante: su quindici voti espressi, oltre a quello contrario della Federazione Russa, ci sono stati tredici voti a favore e un’astensione, quella di Pechino. Altro membro di rilievo del “fronte revisionista”, nonostante abbia dichiarato “una partnership senza limiti” con la Russia la Repubblica Popolare vuole comunque mantenere, almeno per il momento, una postura più distante rispetto al Paese partner, così da mantenere più ampio il proprio margine d’azione nel teatro internazionale.
A pochi giorni di distanza dalla riunione del Consiglio di Sicurezza, le forze armate nordcoreane hanno avviato nuovi test (per la terza volta da inizio anno) su un vettore che si sospetta essere un missile balistico a raggio intermedio con motore a combustibile solido. Secondo gli esperti, con queste manovre Kim Jong Un vorrebbe in qualche modo influenzare il voto in Corea del Sud, nel tentativo di emulare gli altri Stati revisionisti. “Il regime di Kim dà la priorità all’avanzamento delle sue capacità militari e non si preoccupa di rimanere in silenzio durante la campagna elettorale per le elezioni legislative sudcoreane” ha dichiarato ad Al Jazeera Leif-Eric Easley, professore dell’Università Ewha di Seul, “Ma il lancio di un missile a raggio intermedio non ha il valore d’urto di un lancio di un missile balistico intercontinentale a pieno raggio o di un test nucleare, quindi è improbabile che faccia oscillare qualche seggio dell’Assemblea nazionale. Sebbene lo sviluppo degli armamenti di Pyongyang rimanga una delle principali preoccupazioni, Seul è attualmente concentrata sulla riforma sanitaria, sulle politiche economiche e sugli scandali politici interni”.