All’alba dei negoziati per l’accordo sul piano pandemico Oms, il traguardo sembra ancora lontano e molti sono i dossier ancora aperti. Fra cui una lettera del repubblicano Jim Jordan in cui punta il dito contro l’amministrazione Biden
Il mondo ha imparato dolorose lezioni dal Covid-19, rivelandosi profondamente impreparato nella gestione delle crisi sanitarie globali. Questo scenario ha spinto oltre 190 Paesi a negoziare un nuovo accordo pandemico sotto l’egida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), volto a prevenire, prepararsi e rispondere alle future emergenze sanitarie globali. L’accordo, che sarà discusso durante la 77esima Assemblea mondiale della sanità, che si terrà a Ginevra dal ventisette maggio al primo giugno, resta tuttavia imbrigliato in un processo di negoziazione complesso e controverso, toccando questioni delicate come la proprietà intellettuale e la gestione della disinformazione, ma anche il ruolo stesso dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Verso una preparedness globale
La pandemia di Covid-19 ha causato oltre sette milioni di morti e ha messo in ginocchio l’economia globale, evidenziando le fragilità dei sistemi sanitari e la mancanza di cooperazione internazionale. Durante la crisi, i Paesi più ricchi hanno potuto usare (e in parte anche accumulare) i vaccini, mentre spesso i Paesi in via di sviluppo non vi hanno avuto accesso, se non in tempi estremamente dilatati e in quantitativi insufficienti. Inoltre, la cooperazione tra Paesi si è dimostrata al di sotto delle aspettative globali, nonostante l’obiettivo indiscutibilmente comune di preservare la salute dei cittadini di tutto il mondo. Questa situazione ha evidenziato la necessità di un accordo globale che garantisca non solo l’equità nella distribuzione delle risorse sanitarie, ma anche una preparedness condivisa fra tutti i Paesi membri.
Il ruolo dell’Oms
Del resto, la stessa Oms è stata più volte messa sotto accusa durante la fase del Covid. In primis, per il ritardo nel dichiarare la pandemia, ma anche per aver accettato passivamente le informazioni sulla pandemia fornite da Pechino senza aver condotto indagini indipendenti e approfondite. Inoltre, l’Oms avrebbe fornito linee guida contrastanti sull’uso delle mascherine e diverse fonti hanno incolpato l’organizzazione di essere stata eccessivamente lenta nell’aggiornamento delle linee guida sulla trasmissione aerea del virus. Da ultimo, la stessa iniziativa Covax, che avrebbe dovuto garantire l’accesso vaccinale a livello globale, non è riuscita a garantire una distribuzione rapida e giusta dei vaccini ai Paesi in via di sviluppo. C’è ad ogni modo da riconoscere che l’Oms, così come le istituzioni sanitarie nazionali e internazionali, si interfacciavano per la prima volta con una pandemia delle dimensioni del Covid-19.
Le sfide della proprietà intellettuale
Uno degli ostacoli principali nei negoziati riguarda i diritti di proprietà intellettuale, cruciale per incentivare la ricerca e lo sviluppo nel settore sanitario. Le aziende private, infatti, investono ingenti somme di denaro e risorse nella creazione di nuovi farmaci, e il meccanismo della proprietà intellettuale assicura loro un ritorno economico sugli investimenti. Senza tali garanzie, l’incentivo a investire in innovazioni potrebbe diminuire. D’altra parte, la proprietà intellettuale limita in parte l’accesso alle tecnologie vitali nei Paesi in via di sviluppo, che può rivelarsi particolarmente critico in caso di emergenze sanitarie globali, perpetuando disuguaglianze di accesso al diritto alla salute. Ed ecco la ragione dell’impasse. Mentre questi ultimi chiedono una condivisione obbligatoria delle tecnologie sanitarie chiave, come i vaccini, per garantire una distribuzione equa e accessibile, i Paesi economicamente avanzati temono che queste misure possano minare i diritti di proprietà intellettuale e di conseguenza lo sviluppo di terapie efficaci e innovative.
Politica della disinformazione
Alcuni critici sostengono inoltre che l’accordo potrebbe portare a forme di censura, limitando la libertà di espressione con il pretesto di combattere la disinformazione sanitaria. Questo dibattito è particolarmente rilevante negli Stati Uniti, dove il governo è stato accusato di coercizione e collaborazione con le piattaforme di social media nell’attività di censura. Jim Jordan, in particolare, esponente del partito Repubblicano Usa e membro della Camera dei rappresentanti, ha espresso tali preoccupazioni in una lettera inviata pochissimi giorno fa al segretario di Stato Antony Blinken, accusando apertamente l’amministrazione di Joe Biden. Il timore, oggi, è che un accordo pandemico dell’Oms possa prevedere disposizioni simili, conferendo all’Organizzazione mondiale della sanità la possibilità di definire unilateralmente il flusso di comunicazione, in violazione al Primo emendamento.
Poteri decisionali
Un’altra preoccupazione sollevata durante i negoziati riguarda il potere decisionale che l’Oms potrebbe acquisire. Alcuni critici temono infatti che il pandemic accord possa conferire all’organizzazione mondiale un’autorità eccessiva, permettendole di imporre restrizioni sui Paesi membri senza adeguata supervisione e derogando la sovranità delle singole nazioni.
Ghebreyesus (Dg Oms): nessuno è al sicuro
Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha ribadito l’importanza dell’equità come principio guida dell’accordo, sottolineando come la sicurezza sanitaria globale dipenda dalla forza dei sistemi sanitari di tutti i Paesi, e che nessuno può definirsi al sicuro finché non lo sono tutti. Questo implica non solo la condivisione delle risorse, ma anche il rafforzamento dei sistemi sanitari nei Paesi in via di sviluppo per prevenire e rispondere efficacemente alle future pandemie.