I prossimi cinque anni saranno cruciali per capire che direzione prenderà l’Unione europea e il nostro Paese è al centro. L’analisi di Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico a Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti
Il 14 e 15 maggio si è svolto a Šibenik, in Croazia, il nono incontro ministeriale congiunto del Consiglio Adriatico e Ionico di Eusair e IAI. Un luogo non casuale, essendo la città croata più antica sul Mediterraneo, per un vertice che si è tenuto in un momento cruciale per diversi motivi, a livello geopolitico ma anche economico.
Innanzitutto, Il 2024 ha segnato il ventesimo anniversario dell’adesione di dieci nuovi Stati membri all’Unione Europea, la più grande ondata di allargamento dalla sua fondazione. Un evento trasformativo per il nostro continente e che ha dotato i nuovi membri di un potente motore per ottenere una maggiore prosperità e crescita economica: basti pensare che il Pil pro capite dei nuovi entrati è salito dal 59% della media Ue nel 2004 all’81% nel 2024. Ma che ha anche saputo allargare lo spazio di pace europeo, mettendo definitivamente “in archivio” il periodo della Cortina di ferro e contribuendo dunque a raggiungere quello che è forse il successo principale della storia dell’Unione europea: quello di avere impedito conflitti armati al proprio interno.
Tuttavia, vent’anni dopo quel felice allargamento ci troviamo di fronte a una situazione internazionale decisamente mutata e sempre più tesa. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia (che, quasi per un’ironia della sorte vent’anni fa era molto vicina alla Nato e oggi invece minaccia l’integrità territoriale degli Stati membri) e la guerra in Medio Oriente tra Israele e Hamas, la sicurezza dell’intera Unione europea si vede minacciata. Ed è per questo che diventa strategica la posizione dei Balcani Occidentali, la cui sicurezza e sviluppo vanno rafforzati favorendo e velocizzando il loro avvicinamento (e auspicabilmente ingresso a pieno titolo) nell’Unione europea. La regione aveva iniziato a vedere una nuova alba con gli accordi di Dayton che avevano posto fine alla guerra civile in seguito alla disgregazione dell’ex-Jugoslavia: la pace sembra ormai una realtà consolidata (nonostante la parentesi della guerra del Kosovo e le schermaglie che proseguono tra Belgrado e Pristina).
Attualmente, i Paesi candidati all’ingresso sono Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia. Non tutti condividono pienamente i valori liberal-democratici della “famiglia” europea (la Serbia oscilla pericolosamente in direzione di Mosca e Pechino, come evidenziato anche dalla recente visita di Xi Jinping a Belgrado), ma dovrebbe essere una priorità della prossima legislatura europea favorire un’ulteriore spinta verso l’allargamento a questi Paesi, che aspettano di poter entrare da molti anni e che hanno fatto parecchi passi avanti nel convergere verso i parametri definiti da Bruxelles.
A questo proposito, il ruolo svolto a livello diplomatico dall’Iniziativa Adriatico-Ionica, che raggruppa dieci Paesi dell’area adriatica, è stato importante, cercando di avvicinare le due sponde e favorendo la cooperazione nei diversi ambiti politico culturale sociale ed economico. L’Italia è un perno fondamentale di questa azione, occupando una posizione geopolitica che la pone naturalmente a sostegno dei i Paesi dei Balcani occidentali. I prossimi cinque anni saranno cruciali per capire che direzione prenderà l’Unione europea: l’allargamento alla sponda orientale dell’Adriatico sarà uno snodo fondamentale per capire se l’Europa vuole davvero fare “sul serio” e diventare uno spazio ancora più esteso di democrazia, sviluppo, sicurezza e pace.