Il governatore della Banca d’Italia al suo primo tradizionale appuntamento annuale di fine maggio. Il messaggio sotteso è chiaro: se il Vecchio continente vuole sopravvivere deve portare a termine l’unione dei mercati e dotarsi di titoli di debito comunitari. E anche sulla Difesa è tempo di scelte. L’Intelligenza Artificiale è una sfida a cui le imprese europee non debbono sottrarsi. I tassi? La stretta monetaria ha funzionato, ma ora basta
L’attesa è stata sempre una costante nelle Considerazioni finali di Bankitalia. Ma stavolta, forse, ce ne era un pizzico di più. E il motivo è presto spiegato: si trattava del primo appuntamento di Fabio Panetta con l’evento più importante dell’anno per Via Nazionale. A una settimana esatta dal G7 di Stresa, di cui è stato padrone di casa, unitamente a Giancarlo Giorgetti, l’ex membro del comitato esecutivo della Bce, che lo scorso novembre ha preso il testimone alla guida di Palazzo Koch da Ignazio Visco, ha racchiuso in una trentina di pagine il suo pensiero maturato in otto mesi da governatore su banche, finanza, Europa, prospettive dell’economia, tassi e geopolitica. Tutto davanti a una platea gremita di banchieri, imprenditori, manager, tra cui John Elkann, giornalisti ed economisti, unitamente alla presenza dell’ex presidente della Bce, già premier e governatore di Bankitalia, Mario Draghi.
UN FUTURO ANCORA TROPPO INCERTO
Primo punto, il futuro dell’economia globale e i suoi rischi. “Nei mesi scorsi l’economia mondiale ha continuato a espandersi, nonostante il tono ancora restrittivo della politica monetaria in molti Paesi e l’incertezza provocata dalle tensioni e dai conflitti in atto in più regioni del mondo. Le prospettive a breve termine rimangono tuttavia deboli”, ha chiarito Panetta. “Nel 2024 il prodotto mondiale crescerebbe del 3%, sensibilmente sotto la media dei primi vent’anni di questo secolo. Dopo avere ristagnato nel 2023, quest’anno il commercio tornerebbe ad aumentare, ma meno che in passato. I rischi sull’evoluzione congiunturale, a lungo orientati in senso negativo, si stanno riequilibrando. La disinflazione in corso a livello globale prefigura un allentamento delle condizioni monetarie, con tempi diversi nelle principali economie”.
“La crescita è eterogenea sia tra i Paesi avanzati, dove spicca il dinamismo degli Stati Uniti, sia tra le economie emergenti e quelle a basso reddito. Per i Paesi più poveri la dinamica produttiva registrata dal 2019 non è stata nel complesso sufficiente a ridurre i divari di benessere rispetto a quelli più ricchi; in molti casi l’elevato servizio del debito ha generato condizioni di vulnerabilità. L’insolvenza di uno o più di questi Paesi avrebbe effetti sistemici globali presumibilmente limitati , ma una gestione disordinata delle crisi avrebbe conseguenze gravi per le economie coinvolte e potrebbe alimentare dispute geopolitiche”. Dunque, “nei prossimi anni l’economia mondiale risentirà di una dinamica contenuta della produttività in molte aree, dell’esaurirsi degli stimoli fiscali introdotti per contrastare la pandemia e, soprattutto, di relazioni internazionali che non accennano a rasserenarsi”.
LA CRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE
Un passaggio delle sue considerazioni Panetta lo ha dedicato poi alla crisi, forse irreversibile, della globalizzazione. “È prematuro parlare di deglobalizzazione, ma è chiaro che il processo di rapida integrazione dell’economia mondiale si è interrotto. L’incidenza del commercio internazionale sul prodotto è rimasta al 30% negli ultimi quindici anni, dopo essere raddoppiata nei due decenni precedenti. Dal 2010 gli investimenti diretti esteri hanno anch’essi ristagnato a livello globale. Negli ultimi anni si è assistito a un calo dei flussi tra paesi politicamente distanti e all’emarginazione di quelli più poveri”.
Di conseguenza, “nel sistema monetario internazionale, le diverse valute e le infrastrutture di pagamento e di mercato hanno acquisito, soprattutto dopo l’imposizione di sanzioni finanziarie alla Russia, una valenza strategica che va oltre la sfera economica. Il dollaro e l’euro si confermano le principali monete di riserva. Il renminbi cinese sta però acquisendo importanza, come testimoniato dal suo crescente utilizzo nei pagamenti transfrontalieri e nella fatturazione degli scambi commerciali. Alcune banche centrali stanno inoltre modificando la composizione delle riserve in favore dell’oro e a scapito delle maggiori valute, anche come reazione alle sanzioni. Le future mosse dei principali paesi in questo ambito andranno valutate considerandone le possibili conseguenze sul sistema monetario globale. Le tensioni internazionali hanno acuito l’attenzione ai rischi, già emersi durante la pandemia, connessi con la partecipazione a filiere produttive globali lunghe e complesse”.
UN’EUROPA ANCORA ZOPPA
Le valutazioni del governatore si sono poi irrimediabilmente spostate sull’Europa, ancora troppo friabile e vittima del suo stesso individualismo. Qui il riferimento è alla mancata unione dei capitali, all’assenza di una Difesa comune, ma anche alle nuove regole fiscali, che tra sei mesi torneranno in vigore. “Le direttrici sopra delineate non esauriscono gli ambiti in cui l’Unione europea è chiamata ad agire. Politiche comuni sono necessarie nel campo ambientale, della Difesa, dell’immigrazione, della formazione, e in altri ancora. L’impegno finanziario sarà ingente: per le sole transizioni climatica e digitale e per aumentare la spesa militare al 2% del Pil, la Commissione europea stima un fabbisogno di investimenti pubblici e privati di oltre 800 miliardi ogni anno fino al 2034 . Perseguire un piano così vasto a livello nazionale comporterebbe duplicazioni di spesa e la rinuncia alle economie di scala. Incontrerebbe ostacoli nella capacità fiscale di più paesi, con il rischio di compromettere la necessaria ampiezza dell’impegno e di accentuare la frammentazione del mercato unico. E poiché molti progetti riguardano beni pubblici comuni quali l’ambiente e la sicurezza esterna, un ammontare di investimenti insufficiente danneggerebbe tutti i paesi e tutti i cittadini dell’Unione”.
Tradotto, “è pertanto necessario, nell’interesse collettivo, realizzare iniziative a livello europeo. All’architettura economica europea mancano due elementi essenziali: una politica di bilancio comune e un mercato dei capitali integrato. Resta incompleto l’assetto dell’Unione bancaria. Senza queste lacune l’Europa avrebbe potuto rispondere meglio alle crisi degli ultimi quindici anni. L’esigenza di colmarle è pressante alla luce dell’instabilità del contesto geopolitico e degli ingenti investimenti che l’Europa deve realizzare”.
Di qui, la chiamata in causa del Patto di stabilità, con una sorta di pagella. “La recente riforma dei meccanismi di governo economico europei non ha segnato particolari progressi in queste direzioni, così come non ha introdotto la necessaria semplificazione delle regole. In mancanza di avanzamenti verso una politica di bilancio comune, qualunque riforma che intervenga solo sulle politiche nazionali rischia di fare apparire le regole europee sbilanciate verso il rigore e poco attente alle esigenze dello sviluppo. Le nuove norme contengono nondimeno aspetti innovativi coerenti con la crescita. Esse si concentrano sulla sostenibilità di medio termine del debito pubblico, anziché sulla calibrazione precisa e continua della politica di bilancio; ciò dovrebbe consentire una programmazione di più lungo periodo e percorsi di consolidamento fiscale realistici”.
E ancora, “esse riconoscono inoltre la relazione fra le due leve necessarie per rafforzare la sostenibilità dei conti pubblici: la politica di bilancio, da un lato, e le riforme e gli investimenti necessari per lo sviluppo dall’altro lato. Gli effetti del nuovo impianto normativo dipenderanno da come esso sarà applicato: potrà rinvigorire l’economia europea se permetterà di coniugare la necessaria disciplina fiscale con il fine ultimo di favorire la crescita. Se le nuove regole daranno buona prova di sé, nel tempo rafforzeranno la collaborazione tra Stati membri e la fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni europee e in definitiva nel futuro dell’Unione. Ciò consentirebbe di progredire verso una vera e propria unione di bilancio, che operi con adeguate risorse proprie e sia in grado di emettere debito”.
L’ORA DEGLI EUROBOND
Il messaggio di Panetta è chiaro, o l’Europa si farà le spalle larghe, o soccomberà. E l’irrobustimento passa anche attraverso l’emissione di debito comune. “I mercati dei capitali europei rimangono però poco sviluppati e frammentati, nonostante gli sforzi di integrazione compiuti con la legislazione dell’Unione. Nell’area dell’euro il valore in rapporto al Pil delle obbligazioni emesse dalle imprese è un terzo di quello degli Stati Uniti. Inoltre, sebbene il capitale di rischio rappresenti in entrambe le aree la principale fonte di finanziamento, le azioni sono prevalentemente non quotate, mentre negli Stati Uniti sono in gran parte negoziate in borsa, consentendo alle imprese di attingere a un ampio bacino di investitori”.
“In Europa vi sono 59 mercati azionari regolamentati, riconducibili a oltre 30 gruppi proprietari e tra le infrastrutture borsistiche si contano 27 depositari centrali e 10 controparti centrali. Negli Stati Uniti operano 24 mercati azionari, in gran parte facenti capo a 4 gruppi, un depositario centrale e una controparte centrale. Credo siano evidenti gli svantaggi che il nostro assetto frammentato genera in termini sia di funzionalità e liquidità, sia di barriere all’ingresso per risparmiatori e imprese. Per progredire verso un unico mercato dei capitali europeo vanno risolti due problemi fondamentali. Il primo è la mancanza di un titolo pubblico europeo privo di rischio: un titolo comune esente da rischi agevolerebbe la valutazione di prodotti finanziari quali le obbligazioni societarie e i derivati, stimolandone l’espansione; offrirebbe una forma di collaterale utilizzabile in tutti i segmenti di mercato, anche per gli scambi transfrontalieri; costituirebbe la base delle riserve in euro delle banche centrali estere, rafforzando il ruolo internazionale della nostra valuta. I titoli offerti nell’ambito del programma Next Generation Eu vanno in questa direzione. Ma collocamenti episodici non rappresentano un punto di svolta: la scarsa liquidità disincentiva l’inclusione dei prestiti negli indici di riferimento e ostacola l’introduzione di contratti derivati per la gestione dei rischi”.
BASTA CON I TASSI TROPPO ALTI
Uno dei passaggi chiave delle prime Considerazioni di Panetta è stato poi quello sui tassi. Il governatore si batte da tempo per un allentamento del costo del denaro da parte della Bce. Allentamento che sembra ormai imminente, finalmente. “Negli ultimi quattro anni la politica monetaria ha operato in un difficile contesto. La crisi pandemica ha richiesto misure fortemente espansive, alcune senza precedenti. Da queste si è dovuto passare a una rapida normalizzazione e poi a una restrizione monetaria a seguito della fiammata inflazionistica. Nel complesso tale azione è stata necessaria. La crisi pandemica è stata superata, con il concorso delle politiche di bilancio, evitando una crisi finanziaria”.
“Ora dobbiamo però evitare che la politica monetaria diventi eccessivamente restrittiva, spingendo l’inflazione al di sotto dell’obiettivo simmetrico della Bce. Da settembre, quando aumentammo per l’ultima volta i tassi, i rendimenti reali a breve termine sono saliti di quasi mezzo punto percentuale. Per i prossimi mesi, se i dati risulteranno coerenti con le attuali previsioni, si profila un allentamento delle condizioni monetarie. Ciò non interromperà l’azione volta a ripristinare la stabilità dei prezzi. L’orientamento monetario rimarrebbe infatti restrittivo anche con più tagli dei tassi ufficiali: il livello atteso dei rendimenti reali desumibile dai mercati finanziari, che pure incorpora una riduzione dei tassi di riferimento di 60 punti base nel corso del 2024, rimane per molti mesi superiore a qualsiasi stima plausibile del tasso naturale”. Insomma, questa è l’ultima chiamata per tagliare i tassi.
Certo, sempre un occhio agli Usa. “Le decisioni della Federal reserve degli Stati Uniti saranno un elemento di cui tenere conto, non un vincolo, nella fase di allentamento delle condizioni monetarie. Un orientamento monetario statunitense più restrittivo delle attese potrebbe determinare un deprezzamento del cambio dell’euro e generare pressioni inflazionistiche. Analisi empiriche indicano che questo effetto sarebbe però sovrastato dall’impatto negativo che la restrizione monetaria statunitense avrebbe sulla domanda mondiale e sulle condizioni finanziarie globali, e quindi sull’inflazione nell’area dell’euro”.
IL FATTORE ITALIA
E l’Italia, in tutto questo grande sconvolgimento globale? “Nell’area dell’euro, l’economia italiana è quella con la minore crescita del prodotto per abitante nell’ultimo quarto di secolo. La produttività del lavoro è rimasta ferma e solo nel 2023 gli investimenti sono tornati a superare il livello precedente la crisi finanziaria, mentre le ore lavorate totali non lo hanno ancora recuperato. L’evoluzione dei salari ha riflesso il ristagno della produttività: i redditi orari dei lavoratori dipendenti sono oggi inferiori di un quarto a quelli di Francia e Germania”.
Eppure, ha precisato Panetta, “non siamo tuttavia condannati alla stagnazione. La ripresa registrata dopo la crisi pandemica è stata superiore alle previsioni e a quella delle altre grandi economie dell’area. Contrariamente a quanto avvenuto in episodi di crisi del passato, è stata intensa anche nel Mezzogiorno. Gli investimenti sono il principale canale per diffondere l’innovazione tecnologica, da cui deriva gran parte dei guadagni di produttività. Perché le imprese investano è innanzitutto necessario che le politiche garantiscano un adeguato contesto regolamentare e concorrenziale e un ambiente macroeconomico stabile. Soprattutto in condizioni di ritardo tecnologico le esternalità positive dell’investimento in innovazione giustificano interventi pubblici mirati”.
GIOCARE D’ANTICIPO
Come al solito, il ruolo propulsore, lo avranno le banche. “Il 2023 è stato un anno molto favorevole per le banche italiane. Il rendimento del capitale ha superato il 12%. La redditività ha beneficiato di un’eccezionale congiuntura di mercato, in cui l’abbondante liquidità in circolazione ha frenato l’aumento del costo della raccolta, mentre il rialzo dei tassi ufficiali si è rapidamente trasmesso a quelli sui prestiti, alimentando il margine di interesse. Il capitale è salito al 15,6 per cento delle attività a rischio. Gli ultimi dati confermano la prosecuzione di questa fase favorevole. All’interno del sistema creditizio, le banche significative mostrano valori di redditività e patrimonio superiori alla media europea. Il quadro è migliorato anche per le banche meno significative, sottoposte alla nostra diretta supervisione”.
Ma Panetta ha lanciato un monito agli istituti. “Lo ribadisco: non possiamo farci cogliere impreparati da tensioni che potrebbero emergere in futuro. Ad aprile abbiamo chiesto alle banche di costituire entro la metà del 2025 una riserva di capitale macroprudenziale pari all’1% delle esposizioni domestiche. L’aumento dei requisiti avrà un impatto trascurabile sull’offerta di prestiti e consentirà di limitare gli effetti negativi di eventi sistemici sfavorevoli: al loro verificarsi la Banca d’Italia potrebbe autorizzare il rilascio della riserva, preservando la capacità delle banche di sostenere l’economia reale”.
LA SFIDA OBBLIGATA DELL’AI
C’è poi un altro frammento delle Considerazioni dedicato all’Intelligenza Artificiale. Nei mesi in cui il mondo discute su come governare una rivoluzione ancora tutta da decifrare, Bankitalia non si è sottratta alle sue valutazioni. La parola d’ordine è, guai a girarsi dall’altra parte, specialmente in Europa. “L’Intelligenza Artificiale determinerà cambiamenti potenzialmente dirompenti nell’economia mondiale. Essa sosterrà la produttività e la crescita, anche se costi e benefici potrebbero distribuirsi in modo disomogeneo tra settori e nella società, soprattutto nel breve termine e comporta inoltre enormi consumi di energia. È auspicabile l’ingresso di aziende europee nello sviluppo di questa tecnologia. Iniziative comuni tra operatori di diversi paesi consentirebbero di reperire più agevolmente le enormi risorse finanziarie necessarie per competere con i produttori esteri e di fare leva sulla ricerca scientifica di eccellenza condotta nell’intera Unione e permetterebbero inoltre di contrastare il potere di mercato dei giganti tecnologici esteri”.