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Case green, la direttiva va ancora modificata. L’opinione di Pedrizzi

La direttiva europea sulle case green continua a far discutere. Con questo provvedimento viene richiesto un taglio del 16% dei consumi medi entro il 2030, del 20-22% entro il 2035; inoltre bisognerà non solo costruire edifici nuovi secondo le nuove norme, ma dovrà essere ristrutturato il 43% del patrimonio edilizio più energivoro. Si parla cioè di circa 5 milioni di edifici. L’auspicio è che il nuovo parlamento europeo tenga conto delle peculiarità della storia e della identità dei singoli popoli dell’Unione. Scrive Pedrizzi

 

Dopo più di due anni di dibattito i 38 articoli della direttiva Ue sulle “case green” (la energy performance of buildings directive: Epbd) sono stati approvati dall’Ecofin, il Consiglio Europeo dei ministri delle Finanze. La direttiva è stata votata da tutti i membri dell’Ue, tranne che dall’Italia e dall’Ungheria (contrarie). I due no hanno fatto scalpore perché di Italia ed Ungheria, che non si sono giustamente accontentati, nemmeno di questa versione della Epbd molto ammorbidita rispetto a quella precedente.

Repubblica ceca, Croazia, Polonia, Slovacchia e Svezia si sono astenute. Sarebbe bastato che uno solo dei Paesi, che hanno le nostre stesse problematiche e le nostre stesse esigenze strutturali avessero tenuto la posizione (Spagna, Francia e Grecia, ad esempio) perché la direttiva venisse bocciata.

Ma si sa, i governi di sinistra con Sanchez in Spagna, Macron in Francia, da sempre hanno sposato posizioni contro i piccoli proprietari di immobili, favorendo gli interessi  dei grandi gruppi immobiliari multinazionali.

Se si pensa al testo iniziale contro il quale si erano mobilitati, oltre che tutte le organizzazioni dei proprietari di immobili tra cui Federproprietà, anche tutti i partiti del centrodestra italiano, sia quando erano all’opposizione che quando sono arrivati al governo, forse ci si sarebbe potuti accontentare.

Purtroppo però non è proprio possibile. È vero che si tratta di un testo più equilibrato rispetto al progetto del 2021, che divideva le case in classi energetiche e prevedeva sanzioni molto dure (incluso il divieto di affittare o vendere) per i proprietari, ma questo ultimo votato è un provvedimento che rappresenta sempre un grave danno soprattutto per i piccoli proprietari sopratutto.

La direttiva diventerà definitiva dopo la pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” dell’Unione europea. A partire dalla quale scatteranno i due anni di tempo per il recepimento da parte dei Paesi membri, che dovranno presentare i loro piani di ristrutturazione del parco edilizio residenziale. Con questo provvedimento viene richiesto un taglio del 16% dei consumi medi entro il 2030, del 20-22% entro il 2035; inoltre bisognerà non solo costruire edifici nuovi secondo le nuove norme, ma dovrà essere ristrutturato il 43% del patrimonio edilizio più energivoro. Si parla cioè di circa 5 milioni di edifici.

Questo comporta che, per raggiungere i target fissati dall’Unione europea, bisognerà correre tanto e reperire tante risorse che al momento la direttiva non stanzia.

Proprio per questo il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti si è lamentato subito: “Abbiamo purtroppo esperienze note in Italia. E’ una direttiva bellissima, ambiziosa. Ma alla fine chi paga?”. Anche perché si tratta di almeno 9 milioni di immobili da riqualificare come ha evidenziato uno studio realizzato dalla Banca d’Italia: “Il miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni in Italia”. Si è calcolato che su circa 77 milioni di edifici in Italia, 36 milioni sono abitazioni, delle quali la maggior parte ha prestazioni energetiche pessime, cioè nelle classi F e G. E l’Europa chiede a tutti gli Stati membri di raggiungere “la neutralità climatica” entro il 2050.

Questa ultima versione della direttiva “case green” per fortuna non prevede specifiche sanzioni, chiedendo di provvedervi ai legislatori nazionali. E allora ecco che nel nostro Paese entra a gamba tesa, per rendere più pesante ed insostenibile la situazione dei proprietari di case, la solita la Banca d’Italia, che già si era distinta in un’audizione alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla Riforma fiscale quando sostenne che l’assenza di tasse sulla prima casa era un’anomalia tutta italiana ed avallò e sostenne quello che chiedeva Bruxelles e cioè l’imposizione di nuove patrimoniali.

Anche ora la Banca d’Italia ci riprova. E in un dossier pubblicato nella serie “Questioni di economia e finanza” avanza alcune ipotesi di intervento legislativo relative al disegno di legge che il governo dovrà predisporre per recepire la direttiva, tra cui, detrazioni, crediti d’imposta, sostegno all’accesso al credito, consigliando “una compartecipazione al costo da parte del beneficiario per limitare rischi di azzardo morale ed essere modulata in relazione al risparmio energetico atteso, al costo dell’intervento e alle caratteristiche reddituali e patrimoniali dei destinatari”.

Ma la botta arriva quando propone:“In caso di abitazioni in affitto private, potrebbe essere valutata l’ipotesi di concedere incentivi fiscali rafforzati al raggiungimento di determinati livelli di EE, oppure di subordinare la locazione al rispetto di standard minimi, come accade in altri paesi”.

Contro tale imposizione, che era stata avanzata nel 2021, si erano levate proteste talmente vibrate che la Commissione europea aveva fatto marcia indietro. Ed ora invece ce la ritroviamo come proposta di un’istituzione italiana.

Per fortuna fin d’ora le forze di maggioranza di centrodestra che sono al governo nel nostro Paese, FdI, Forza Italia e Lega puntano con le elezioni europee al cambio di passo e, quindi, ad una pesante revisione del provvedimento verde.

Il capo delegazione di Fratelli d’Italia- Ecr al Parlamento europeo, infatti Carlo Fidanza ha dichiarato che: “rimane un testo sbilanciato che comporta oneri eccessivi che non si sa come verranno finanziati, a maggior ragione in una nazione come la nostra fortemente provata dalla terribile esperienza del superbonus”, per cui “ci impegneremo a rimettere mano al provvedimento nella prossima legislatura”.

Per forza Italia, il capogruppo al Pe Fulvio Martuscello assicura che: “La direttiva sulle case green è il primo provvedimento da cambiare nella prossima legislatura”… “dove non ci sarà spazio per l’estremismo ambientale”.

E il vicepremier Matteo Salvini ha annunciato che il suo partito “farà tutto il necessario, per fermare tasse patrimoniali green volute dalla sinistra. A giugno si volta pagina”. Dal suo canto Isabella Tovaglieri, che è stata relatrice ombra della direttiva al Parlamento, ha spiegato: “Bene che il governo abbia detto no alla direttiva Case Gree. Basta con le eco-follie di Bruxelles, è arrivato il momento di cambiare questa Europa per salvare la casa degli italiani”.

Dal nostro Governo anche il ministro all’Ambiente e alla sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha sottolineato il lavoro fatto e ha ricordato l’opposizione “anche in modo duro, specialmente” quando la direttiva “ha preso uno sbandamento di tipo ideologico, incompatibile con la nostra cultura di fabbricare”.

In ogni caso il ministro, che nel passato aveva avuto incomprensibili aperture poi rettificate, fortunatamente, ha ammesso che, “riconosciamo che sono stati fatti molti passi in avanti”, ma la direttiva “non tiene conto di tutte le esigenze e delle caratteristiche del nostro Paese, anche se è migliorata molto. Un dissenso che abbiamo espresso e argomentato in tutte le sedi, ma che non mette in discussione l’impegno che abbiamo assunto sul fronte della decarbonizzazione e al 2050”.

E sopratutto ci fanno ben sperare le dichiarazioni del nostro premier Giorgia Meloni che giudica il testo approvato a Bruxelles: “Una direttiva pensata malissimo, senza tenere conto di alcuna specificità. È come se efficientare una casa di legno nella tundra finlandese fosse la stessa cosa di efficientare una casa in pietra in un borgo della Sicilia. Solamente dei burocrati chiusi in un palazzo di vetro”… “possono immaginare una cosa del genere. Siamo riusciti a ottenere risultati molto importanti, l’eliminazione dell’avanzamento di una classe energetica da raggiungere in pochi anni, una mazzata che sarebbe costata, mediamente, tra 40-70.000 euro ad abitazione. Per il momento lo abbiamo evitato, ora ogni governo avrà due anni di tempo per predisporre un piano nazionale per la riduzione delle emissioni inquinanti degli edifici”.

Poi la promessa solenne: “Sono due anni”, assicura la Meloni, “che intendiamo utilizzare per provare a cambiare una normativa che rimane ancora molto, troppo sbilanciata e che per essere ragionevole, a monte, deve rispondere a una banale domanda a cui, però, non ha risposto nessuno finora: chi paga? Perché la risposta sarebbe stata: i cittadini. E allora non si può fare”.

Per tutto questo speriamo dunque in un nuovo parlamento europeo che tenga conto delle peculiarità della storia e della identità dei singoli popoli dell’Unione.

 


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