“Siamo orgogliosi dell’impegno italiano a favore della popolazione civile palestinese”, dichiara Palazzo Chigi dopo l’incontro Meloni-Mustafa. L’Italia si impegna per un cessate il fuoco e il percorso a due Stati che possa costruire l’identità della Palestina, all’interno di un quadro politico-diplomatico che passa anche dal G7, perché “le iniziative unilaterali non sono utili alla soluzione del conflitto”, spiega Tajani
“Come presidenza G7 continuiamo a lavorare per la pace e per una soluzione Due Popoli Due Stati”, così Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri italiano, sintetizza il suo incontro con il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese, Mohammed Mustafa, che inizia dall’Italia un tour per sensibilizzare gli europei sulla situazione nella Striscia di Gaza – dove da quasi otto mesi Israele combatte una guerra contro Hamas, che ha avviato la stagione di ostilità con il clamoroso attentato del 7 ottobre.
La missione europea di Mustafa, economista di formazione statunitense (ha studiato alla George Washington University) e con 15 anni di esperienza nella Wolrd Bank, parte da Roma anche per quanto ricorda Tajani: il G7. Passato da Palazzo Chigi per un faccia a faccia con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il palestinese riparte verso Bruxelles – dove domenica incontrerà i leader Ue – con alcuni punti fermi su cui la leader italiana ha dato la sua assicurazione: un “salto di qualità nell’assistenza umanitaria” (che di fatto è già in corso grazie al corridoio marittimo, su cui l’Italia è coinvolta); la necessità di “riavviare un processo politico che conduca a una pace duratura basata sulla soluzione dei Due Stati”; un “cessate il fuoco sostenibile”, che includa anche il “rilascio di tutti gli ostaggi nelle mani di Hamas”.
Soprattutto, la Farnesina ha annunciato che riprenderà i finanziamenti alla Unrwa, l’agenzia per i rifugiati palestinesi. Ma quello tramite la missione onusiana – a cui Roma ha destinato un ulteriore somma da dieci milioni di euro per aiuti alla popolazione, in difficoltà estreme – non è l’unica forma di assistenza: altri finanziamenti saranno disposti per l’iniziativa internazionale promossa dall’Italia “Food for Gaza”, per cercare di ricostruire almeno un quadro parziale di sicurezza alimentare nella Striscia martoriata. Oppure ancora, l’assistenza medica fornita attraverso la specializzata Nave Vulcano.
L’Italia non è protagonista di uno scatto, ma supporta un percorso condiviso sia dall’Unione Europea che dagli Stati Uniti – ossia dai principali sostenitori del diritti di autodifesa israeliana. Diritto che però il governo di Benjamin Netanyahu ha oltrepassato con una reazione che già a febbraio Tajani definiva “sproporzionata”, perché “ci sono troppe vittime che non hanno nulla a che fare con Hamas”. Posizione ripetuta alla luce dell’appello alla de-escalation uscito dalla riunione ministeriale del G7 di aprile.
Il governo italiano ci tiene a far sapere che l’incontro con Meloni ha seguito una prassi “da protocollo”, altrettanto riguardo alla bandiera che sventolava fuori da Palazzo Chigi al fianco di quella italiana e europea: perché l’alam Filasṭīn nel corso di questi lunghi mesi di combattimenti ha rappresentato l’esposizione pubblica di una posizione non solo a favore delle istanze palestinesi, ma più ampiamente anti-israeliana (in un turbine di dinamiche politico-sociali che hanno spesso trasformato, strumentalizzato le varie contestazioni all’operato di Israele in forme di anti-semitismo).
Mustafa porta avanti una missione complessa. In linea generale la posizione di Netanyahu rischia di complicare l’immagine pubblica di Israele, isolandolo dal resto della Comunità internazionale (che comunque, salvo posizioni più radicali, ha sempre sostenuto il diritto all’autodifesa e alla reazione dopo il durissimo colpo subito con il sanguinoso attacco dell’organizzazione terroristica palestinese). E le recenti misure della Corte di giustizia internazionale e della Corte penale internazionale non remano a favore del primo ministro. Tuttavia, la Palestina non è priva di problemi, anzi.
L’Autorità ha una struttura istituzionale e una leadership politica che va rafforzata per guidare il processo che seguirà il cosiddetto “day-after” (anche perché in questi anni non si è dimostrata particolarmente efficace, efficiente, brillante). Anche a questo si lega l’indecisione sul percorso da compierà da parte di Israele, mentre Washington invita da tempo Ramallah a cercare di strutturarsi per il futuro (quando potrebbe ricevere l’amministrazione di Gaza, da dove era stata cacciata nel 2007 per mano di Hamas. oltre che della Cisgiordania).
Mustafa fa parte di quel tentativo di riforma, che però porta sempre la targa dell’apparentemente eterno Mohamoud Abbas. Il premier sa che adesso può trovare in Europa buoni intenti – già farciti da mesi messaggi simbolici come il riconoscimento della Palestina da parte di Spagna, Irlanda e Norvegia. Su questo, Tajani ribadisce la linea italiana (e non solo): “Noi abbiamo detto che vogliamo che ci sia un negoziato che porti al mutuo riconoscimento tra Israele e lo Stato palestinese. Le iniziative unilaterali non sono utili alla soluzione del conflitto, perché l’obiettivo principale è la pace che porti alla nascita di uno stato palestinese che riconosca Israele e che sia riconosciuto da Israele. Questo è per noi un percorso serio che possa favorire un processo di pace duratura”.