Nonostante sia il leader globale indiscusso nel settore, Pechino avvia un’indagine anti-dumping contro le importazioni di carne di suino dal Vecchio continente. Una mossa più politica che industriale e che arriva a valle del G7 di Stresa, teatro di una ritrovata compattezza dei Grandi della Terra dinnanzi alla concorrenza sleale di Xi Jinping
Dazio chiama dazio. A Pechino devono aver sentito piuttosto bene gli echi del G7 di Stresa, appena concluso. Dal Lago Maggiore, teatro del summit dei ministri delle Finanze, è arrivato un messaggio forte e chiaro: l’Occidente non subirà passivamente, ma risponderà alla concorrenza sleale cinese, che parte dalle auto elettriche e arriva fino all’acciaio. Gli Stati Uniti si sono già mossi, impallinando le merci del Dragone in entrata con dazi fino al 100%. L’Europa, da parte sua, prende tempo, anche se l’orientamento uscito da Stresa va proprio nella direzione dei dazi, anche grazie alla spinta del ministro Giancarlo Giorgetti, che nella conferenza stampa finale ha fatto apertamente intendere come nuovi dazi per contenere l’avanzata cinese siano una questione all’ordine del giorno.
Questi sono, in buona sostanza, i motivi che hanno spinto il governo di Xi Jinping a mettere a sua volta nel mirino l’Europa, ma su un terreno abbastanza inconsueto, quello della carne di maiale. Il che induce a pensare più a un gesto di stizza che a una vera mossa di tutela industriale. I fatti raccontano di come le imprese del settore alimentare del Dragone abbiano chiesto ufficialmente alle autorità di avviare un’indagine antidumping sulle importazioni di carne di maiale dall’Unione europea. E che la notizia sia vera lo prova il fatto che sia stata riportata dal Global Times, il giornale del Partito comunista cinese.
Questo si tradurrà ovviamente in una ritorsione contro l’Europa, perché se l’indagine contro le importazioni di carne in Cina, la quale segue di pochi mesi quella aperta su un altro prodotto made in Ue, il brandy, dovesse dare esito positivo, allora esportare nel Dragone diverrebbe decisamente più costoso per l’Ue, almeno per quanto riguarda la carne. C’è però qualcosa che non torna. La Cina è tutt’oggi il principale produttore di carne di maiale al mondo e, da sola, ne consuma 50 milioni di tonnellate all’anno, circa la metà di tutta quella prodotta a livello globale.
Tanto è vero che i prezzi di questa risorsa rappresentano un indicatore importante dell’inflazione nel Paese e seguono da tempo un ciclo di espansione e contrazione. Questo fenomeno è dovuto anche al fatto che il governo cinese interviene sul mercato, sia creando delle riserve strategiche di carne suina congelata da mettere in commercio per calmierare i pezzi, sia acquistando grandi quantitativi di carne quando la richiesta è scarsa e i prezzi scendono troppo. Lo scorso novembre, per esempio, i prezzi della carne di maiale sono improvvisamente crollati, fino a toccare ribassi del 40%, spingendo l’intera economia nazionale verso la recessione. E allora, come può il leader del mercato globale preoccuparsi delle importazioni estere?
Di sicuro, le tensioni commerciali stanno nuovamente aumentando. Anche dentro gli stessi Brics, di cui la Cina fa parte, insieme al Brasile. Ed è proprio l’acciaio cinese a spaventare i Paesi del continente sudamericano. I governi di Brasilia e Città del Messico, per esempio, stanno seguendo la strada degli Stati Uniti, intimoriti dal fatto che l’importazione di acciaio dalla Cina a prezzi stracciati possa distorcere il mercato e danneggiare le imprese locali. Messico, Cile e Brasile hanno dunque aumentato, e in alcuni casi più che raddoppiato, i dazi sui prodotti siderurgici provenienti dalla Cina. E anche la Colombia potrebbe essere sul punto di seguire l’esempio dei suoi vicini di casa.