Un tempo fare politica significava soprattutto diffondere sani semi di pedagogia civile. Mi sembra però che purtroppo il presidente Mattarella sia quasi una Vox clamans in deserto: un elemento, un valore, un fattore di cui c’è più che mai bisogno, non solo per i giovani, nel nostro Paese. La riflessione di Luigi Tivelli
Cos’ha fatto in questi giorni con il rinnovo della memoria di Giovanni Falcone e con la sottolineatura della rilevanza del ruolo del parlamento il presidente della Repubblica Mattarella? Cosa cerca di fare da sempre? Sana pedagogia civile. Mi sembra però che purtroppo il presidente Mattarella sia quasi una Vox clamans in deserto sulla pedagogia civile: un elemento, un valore, un fattore di cui c’è più che mai bisogno, non solo per i giovani, nel nostro Paese.
Cosa sale dalla memoria di Giovanni Falcone, su cui si ritrovano molti giovani non solo in Sicilia, se non un modello ed un esempio di pedagogia civile e di coraggio civile? Perché, visto che versiamo nel centenario della morte di Matteotti, da queste colonne, lungi dal fare una commemorazione, ho ricordato invece il grande esempio di pedagogia civile e di coraggio civile che viene dalla figura di Giacomo Matteotti. Per fortuna non c’è bisogno dell’estremo sacrificio, come capitato ad opera di una squadraccia fascista cento anni fa a Matteotti, o come è capitato poi a Giovanni Falcone, perché si possano diffondere sani messaggi di pedagogia civile e di coraggio civile.
Un tempo fare politica significava soprattutto diffondere sani semi di pedagogia civile. In questi giorni, a Venezia, il presidente Mattarella ricorderà la figura di Ugo La Malfa. Una figura che per me è stata un faro sin da quando avevo quattordici anni e che da quando ne avevo venti è stato un maestro che mi dava lezioni anche di persona. Ricordo benissimo che anche i comizi di La Malfa erano una sorta di saggi di pedagogia civile. Vuoi che ricordasse il senso e il significato della politica dei redditi, vuoi che ricordasse l’importanza del corretto rapporto tra politica e amministrazione, vuoi che cercasse di spiegare come si poteva risollevare la condizione del mezzogiorno e dei giovani in questo Paese.
L’Academy di cultura e politica Giovanni Spadolini è intestata alla figura di un altro grande uomo di Stato, appunto Giovanni Spadolini, di cui ricorrerà il prossimo anno il centenario dalla nascita. Ebbene, Spadolini ha passato la vita a fare o cercare di fare pedagogia civile. Vuoi con i suoi libri sulla questione cattolica o dei rapporti Stato-Chiesa. Vuoi con il suo primo importante amore intellettuale che fu Piero Gobetti (altro grande martire del fascismo che da giovanissimo faceva pedagogia civile), vuoi in tantissimi suoi libri che pescavano dagli uomini e dalle vicende più significative del risorgimento per dettare ai suoi contemporanei sani elementi di pedagogia civile. Vuoi con l’azione da ministro della Cultura o della Pubblica Istruzione, o con quella da presidente del Consiglio, del Senato o della Bocconi.
Nel suo nome, appunto, come Academy Spadolini cerchiamo di fare e diffondere quella sana pedagogia civile che tanto manca in questo Paese.
Onestamente, se andavi a sentire perfino un comizio di Ugo La Malfa, o di Giovanni Spadolini, di Aldo Moro o altri, tornavi a casa rinvigorito nella tua dimensione di cittadino. Arricchito da nuovi elementi di pedagogia civile e magari pure di coraggio civile. Come torni a casa oggi se senti il comizio della gran parte dei politici in attività? Forse, poverini, non è del tutto colpa loro.
Abbiamo passato la peggior legislatura della storia repubblicana, almeno fino a Draghi, dominati dalla cultura e dalla pratica dell’”uno vale uno”. Da molti anni dura, in questo Paese, il divorzio tra cultura e politica. Così come si è perso il senso della memoria storica e si tende a vivere in quel troppo diffuso presentismo, che amo definire oggicrazia. Sono questi, il divorzio tra cultura e politica e il dominio del presentismo, i primi spunti da cui è nata l’Academy Spadolini di cultura e di politica.
Proviamo ora, in vari modi, a fare e diffondere pedagogia civile. Anche perché non si creda che i giovani e gli studenti oggi siano presi solo dalla sindrome di Gaza, o dall’amore per Hamas. Stiamo incontrando centinaia di giovani che vogliono recuperare al meglio il senso della memoria storica e cercano sani elementi di cultura politica e di pedagogia civile. Fra pochi giorni saremo alla Sapienza per un evento promosso insieme a varie associazioni studentesche sul dialogo intergenerazionale. È noto che, a differenza della nostra generazione, sostanzialmente i giovani di oggi non hanno maestri. Per fortuna, però, ce ne sono tanti che li cercano. E che hanno fame di sana pedagogia civile.
Ci sono responsabilità non da poco, oltre che della politica, del giornalismo. A leggere le cronache sembra che, anche nelle università italiane, i giovani siano mobilitati solo per l’Hamasismo” e il Gazismo. Non è assolutamente vero. Si tratta di minoranze attive, fatte magari anche nelle grandi università di poche centinaia di ragazzi. Ma a questo non è che si può rispondere con la repressione. La diffusione di forme di sana pedagogia civile è l’elemento migliore per svuotare l’acqua dell’estremismo, a volte di comodo, a volte modaiolo, a volte derivante da sana ignoranza. Per fortuna, le università italiane sono piene anche di giovani che sperano di salire grazie allo studio sull’ascensore sociale sulla base del merito. Il problema è che non è che questa politica e queste classi dirigenti offrano molto in questo senso. Noi abbiamo preso atto che Giorgia Meloni, sin dall’insediamento, ha lanciato la bandiera del merito. Il problema resta se e come verrà declinato.
Non solo per questo ci poniamo anche come Accademia del Talento e dei talenti. Nelle stesse università ci sono tanti giovani talenti, così come l’Italia è, per fortuna, fatta di tanti talenti nelle diverse fasce d’età. Promuovere e rilanciare il valore del merito è la via più opportuna per valorizzare finalmente quel talento che è una sorta di denominazione d’origine controllata del nostro Paese. Il quesito è, però: cosa fanno le classi dirigenti per i giovani? Cosa fanno per la valorizzazione del talento? Una questione che non riguarda solo le classi politiche ma una parte significativa del resto delle classi dirigenti.
Sembra che una delle poche cose che tante parti delle classi politiche e dirigenti hanno metabolizzato sui giovani è una delle rarissime frescacce dette dal grande Benedetto Croce secondo cui “l’unico problema dei giovani è quello di diventare vecchi”. Perdura, invece, da troppo tempo e si aggrava man mano una questione giovanile in questo Paese. Tanto più dopo la grande opera di diseducazione etica e civile condotta anche verso i giovani dal geniale reddito di cittadinanza varato dall’allora ministro del lavoro Di Maio.
I giovani sono la risorsa più preziosa di una società che per ragioni demografiche dispone di fasce giovanili ristrette. Per questo in Italia, ancor più che in altri paesi, sono il petrolio di una società. Un petrolio che va mescolato grazie ad azioni di sana pedagogia civile. Vuoi tese a fare il più possibile di essi dei cittadini, vuoi tese a offrire il lubrificante e i congegni del merito, perché l’ascensore sociale, per i talenti e non solo, da troppo tempo bloccato, si rimetta in moto.
Si potrebbe andare a pescare la citazione più appropriata da Mazzini (anche perché, oltre ad una sana religione dei diritti, serve una sana religione dei doveri), oppure da Gobetti, oppure da La Malfa, per il quale i giovani del mezzogiorno erano sempre un faro. Oppure da Spadolini, che fu un talento e un felice matrimonio tra politica e cultura soprattutto perché cresciuto man mano grazie al merito.
Il rilancio di sana pedagogia civile, per la quale per fortuna esistono oggi almeno le declamazioni del Presidente Mattarella, non è solo quello che sta tentando di fare l’Academy Spadolini. Ma è un fabbisogno fondamentale per le giovani generazioni e la società italiana intera. Spetta finalmente alle classi politiche, e agli altri spezzoni delle classi dirigenti, dare l’esempio. Perché l’esempio è fondamentale in questi casi. Non vorremmo cadere nel paradosso di Oscar Wilde, per cui “se le classi inferiori non danno il buon esempio, cosa ci sono a fare?” In questo strano Paese, specie nel rapporto fra media e politica, ogni giorno nasce un nuovo tormentone, più o meno fondato, e si vive un po’ nell’oggicrazia, se non addirittura nell’attimocrazia. Riprendere in mano, da parte delle classi politiche di qualsiasi colore, le redini del Paese, assolvere al ruolo ad esse proprio da parte degli altri spezzoni delle classi dirigenti, dovrebbe significare soprattutto saper dare l’esempio, fare sana pedagogia civile, e rilanciare e diffondere il valore del merito.
“Vaste programme” direbbe il generale De Gaulle.