Secondo il vicepresidente del German Marshall Fund, servirà tempo agli aiuti americani per impattare sulle operazioni militari. Nel frattempo, è strettamente necessario mantenere la coesione politica sul sostegno a Kyiv. O le conseguenze potrebbero non tardare ad arrivare
L’approvazione del pacchetto di aiuti da parte del congresso statunitense rimette in moto il flusso di aiuti da oltreoceano diretti verso l’Ucraina. Ma come andranno esattamente a influenzare le dinamiche della guerra in corso? Formiche.net ne ha parlato a Ian Lesser, vicepresidente del think tank German Marshall Fund.
Dopo mesi, il pacchetto di aiuti è stato approvato dal congresso di Washington. Qual è il loro impatto sul conflitto in Ucraina?
Per dare una risposta completa a questa domanda dobbiamo soffermarci su due caratteri distinti, uno operativo e uno politico. Partiamo dal primo caso: questi aiuti sono immensamente utili per l’Ucraina, tuttavia il ritardo nell’approvazione ha avuto conseguenze significative (e negative) sulla situazione al fronte, stressando la carenza di questi materiali sul fronte ucraino ma anche rinvigorendo le forze di Mosca durante le scorse settimane e mesi. E questa combinazione non è stata affatto positiva per Kyiv, come testimoniano gli sviluppi sul campo di battaglia. Il nuovo pacchetto farà la differenza, fornendo ai difensori preziose munizioni e sistemi anti-aerei. Ma avrà bisogno di tempo per farla.
Sul piano politico invece?
Qui la situazione è molto più torbida. Il ritardo nell’approvazione degli aiuti da parte del Congresso ha aperto la strada al dibattito sulle paure dell’Ucraina, e a come esse dovrebbero essere inquadrate dagli Stati Uniti e dall’Occidente. E con il passare del tempo questo dibattito si sta facendo sempre più controverso. Il tono generale è comunque quello di un forte sostegno, ma adesso l’accento è posto sempre più su quali siano gli obiettivi che Kyiv può ragionevolmente sperare di raggiungere. Inoltre, ci sono alcune voci in Europa che vedono questo pacchetto di aiuti come una conferma del committment americano alla causa ucraina e come una scusa per diminuire gli sforzi europei, e per muoversi più lentamente.
Quali dovrebbero essere i provvedimenti che gli Stati Uniti o l’Europa potrebbero prendere per aiutare ulteriormente Kyiv in questo momento?
Assistenza militare, assistenza economica, sanzioni, controlli sulle esportazioni… Le forme di possibile aiuto sono varie e diversificate. Ma un sostegno efficace all’Ucraina, sia sul piano militare che su quello politico, richiede l’impegno sia degli Stati Uniti che del’Europa, poiché entrambi si rinforzano a vicenda. Nessuno dei due da solo potrebbe fornire a Kyiv il sostegno di cui ha bisogno. Se uno dei due elementi si indebolisce, il livello complessivo degli sforzi sarà ridotto. E potrebbe causare l’avviarsi di dinamiche veramente corrosive per il supporto a Kyiv. E questo deve essere ben chiaro su entrambe le sponde dell’Atlantico.
Con l’arrivo del pacchetto di aiuti potrebbe aprirsi una nuova fase della guerra, magari più favorevole all’Ucraina?
Non c’è dubbio che oggi la situazione sul terreno non sia favorevole all’Ucraina come lo era qualche mese fa. E questo è il risultato sì delle difficoltà di rifornimento, ma anche della mancanza di personale, e soprattutto della capacità di Mosca di ricostituire le sue forze. Non se ne parla mai molto, ma gli sforzi profusi dalla Russia per rimpiazzare le perdite sono stati più che consistenti. E nei prossimi mesi questo potrebbe permettere a Mosca di rinnovare ulteriormente i propri sforzi offensivi, sforzi che l’ucraina deve respingere. In ogni caso, credo che adesso sia in corso un dibattito tra l’ucraina e i suoi partner occidentali su eventuali piani B o C, nel caso in cui Kyiv non riuscisse a recuperare tutti i suoi territori e restaurare la piena sovranità. Ad esempio la questione della Crimea: se la penisola fosse isolata non sarebbe più così utile alla Russia, ma allo stesso tempo non sarebbe in mano a Kyiv. Penso che ci siano scenari sul futuro del conflitto che non sono stati volutamente discussi perché erano considerati “scomodi”. Quindi si, sicuramente si avvicina una nuova fase sia in termini politici che militari.
Pensa che eventuali sviluppi nella crisi in Medio Oriente potrebbero influenzare il conflitto in Ucraina? Magari liberando risorse che Washington potrebbe dirottare verso Est?
Spero vivamente che si trovi un accordo su Gaza, e anche nel conseguente raffreddamento delle tensioni tra Iran e Israele. Ma non credo che questo avrebbe un impatto sugli attori direttamente coinvolti nel conflitto in Ucraina o sull’approccio dell’Occidente ad esso. Ci sono alcune connessioni, ma rimangono due problemi separati. E sul piano delle risorse potrebbe addirittura avere dei risvolti deleteri: la rottura dello stallo sul pacchetto è avvenuta anche per la determinazione dei sostenitori di Israele nel congresso statunitense a sbloccare gli aiuti destinati a Tel Aviv.
Come interpreta la dichiarazione del presidente francese Emmanuel Macron sulla possibilità di inviare soldati in Ucraina? Rientra nella sfera dell’ambiguità strategica?
Sì, in parte rientra nell’ambiguità strategica, e in parte riflette la tendenza del presidente Macron a fare affermazioni provocatorie, perché sa che avranno un effetto. Penso che le parole di Macron riflettano crescenti timori in Europa sulla direzione verso cui questo conflitto sembra essere indirizzato. Non soltanto riguardo alla situazione sul campo di battaglia in Ucraina, ma anche al rischio di escalation, e di un coinvolgimento diretto della Nato, coinvolgimento che l’Alleanza Atlantica sta lavorando per evitare sin dall’inizio del conflitto. Pensate ai recenti commenti di esponenti della leadership di Varsavia sul fatto che la Russia, avanzando in Ucraina, si stia avvicinando al confine polacco, e che i Polacchi potrebbero sentirsi obbligati a combattere i russi prima che raggiungano effettivamente il confine. È uno scenario più concreto di quanto possa sembrare.