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Cosa non va nella nuova direttiva Ue sulle case green. L’opinione di Pedrizzi

La Direttiva diventerà definitiva dopo la pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” dell’Unione europea. A partire dalla quale scatteranno i due anni di tempo per il recepimento da parte dei Paesi membri, che dovranno presentare i loro piani di ristrutturazione di tutto il parco edilizio residenziale. Il nuovo Parlamento europeo dovrà tenere conto delle peculiarità, della storia e della identità dei singoli popoli dell’Unione. L’opinione di Riccardo Pedrizzi

La direttiva Ue sulle “case green” (la energy performance of buildings directive: Epbd) è stata approvata dall’Ecofin, il Consiglio Europeo dei ministri delle Finanze, con i voti contrari dell’Italia e dell’Ungheria, che non si sono giustamente accontentati nemmeno della versione ammorbidita rispetto a quella precedente. Repubblica ceca, Croazia, Polonia, Slovacchia e Svezia si sono astenute.

È vero che si tratta di un testo più equilibrato rispetto al progetto del 2021, ma questo provvedimento rappresenta sempre un grave danno soprattutto per i piccoli proprietari.

La Direttiva diventerà definitiva dopo la pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” dell’Unione europea. A partire dalla quale scatteranno i due anni di tempo per il recepimento da parte dei Paesi membri, che dovranno presentare i loro piani di ristrutturazione di tutto il parco edilizio residenziale.

Questo comporta che, per raggiungere i target fissati dall’Unione europea, bisognerà correre tanto e reperire tante risorse che al momento la direttiva non stanzia.

Per questo il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, si è lamentato subito: “Abbiamo purtroppo esperienze note in Italia. È una direttiva bellissima, ambiziosa. Ma alla fine chi paga?”. Anche perché si tratta di almeno 9 milioni di immobili da riqualificare come ha evidenziato uno studio realizzato dalla Banca d’Italia: “Il miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni in Italia”. Si è calcolato che su circa 77 milioni di edifici in Italia, 36 milioni sono abitazioni, delle quali la maggior parte ha prestazioni energetiche pessime, cioè nelle classi F e G. E l’Europa chiede a tutti gli Stati membri di raggiungere “la neutralità climatica” entro il 2050.

Questa ultima versione della direttiva “case green” per fortuna non prevede specifiche sanzioni, chiedendo di provvedervi ai legislatori nazionali. Ed allora ecco che nel nostro Paese entra a gamba tesa, per rendere più pesante ed insostenibile la situazione dei proprietari di case, la solita la Banca d’Italia, che già si era distinta in un’audizione alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla Riforma fiscale quando sostenne che l’assenza di tasse sulla prima casa era un’anomalia tutta italiana ed avallò e sostenne quello che chiedeva Bruxelles e cioè l’imposizione di nuove patrimoniali.

Anche ora la Banca d’Italia ci riprova. Ed in un dossier pubblicato nella serie “Questioni di economia e finanza” avanza alcune ipotesi di intervento legislativo relative al disegno di legge che il governo dovrà predisporre per recepire la direttiva tra le quali propone: “In caso di abitazioni in affitto private, potrebbe essere valutata l’ipotesi di concedere incentivi fiscali rafforzati al raggiungimento di determinati livelli di EE, oppure di subordinare la locazione al rispetto di standard minimi, come accade in altri paesi”.

Per fortuna fin d’ora le forze di maggioranza di Centrodestra che sono al governo nel nostro Paese, FdI, Forza Italia e Lega puntano con le elezioni europee al cambio di passo e, quindi, ad una pesante revisione del provvedimento verde.

Il capo delegazione di Fratelli d’Italia-Ecr al Parlamento europeo, Carlo Fidanza ha dichiarato che “rimane un testo sbilanciato che comporta oneri eccessivi che non si sa come verranno finanziati, a maggior ragione in una nazione come la nostra fortemente provata dalla terribile esperienza del superbonus”, per cui “ci impegneremo a rimettere mano al provvedimento nella prossima legislatura”. Per forza Italia, il capogruppo al Pe Fulvio Martuscello assicura che: “La direttiva sulle case green è il primo provvedimento da cambiare nella prossima legislatura”… “dove non ci sarà spazio per l’estremismo ambientale”.

Ed il vicepremier Matteo Salvini ha annunciato che il suo partito “farà tutto il necessario, per fermare tasse patrimoniali green volute dalla sinistra. A giugno si volta pagina”. Dal nostro Governo anche il ministro all’Ambiente e alla sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha sottolineato il lavoro fatto e ha ricordato l’opposizione “anche in modo duro, specialmente” quando la direttiva “ha preso uno sbandamento di tipo ideologico, incompatibile con la nostra cultura di fabbricare”. In ogni caso il ministro, che nel passato aveva avuto incomprensibili aperture poi rettificate, fortunatamente, ha ammesso che, la direttiva “non tiene conto di tutte le esigenze e delle caratteristiche del nostro Paese, anche se è migliorata molto”. E soprattutto ci fanno ben sperare le dichiarazioni del nostro premier Giorgia Meloni che giudica il testo approvato a Bruxelles: “Una direttiva pensata malissimo, senza tenere conto di alcuna specificità. E’ come se efficientare una casa di legno nella tundra finlandese fosse la stessa cosa di efficientare una casa in pietra in un borgo della Sicilia. Solamente dei burocrati chiusi in un palazzo di vetro”… “possono immaginare una cosa del genere. Siamo riusciti a ottenere risultati molto importanti, l’eliminazione dell’avanzamento di una classe energetica da raggiungere in pochi anni, una mazzata che sarebbe costata, mediamente, tra 40-70.000 euro ad abitazione. Per il momento lo abbiamo evitato, ora ogni governo avrà due anni di tempo per predisporre un piano nazionale per la riduzione delle emissioni inquinanti degli edifici”. Poi la promessa solenne: “Sono due anni”, assicura la Meloni, “che intendiamo utilizzare per provare a cambiare una normativa che rimane ancora molto, troppo sbilanciata e che per essere ragionevole, a monte, deve rispondere a una banale domanda a cui, però, non ha risposto nessuno finora: chi paga? Perché la risposta sarebbe stata: i cittadini. E allora non si può fare”.

Per tutto questo speriamo dunque in un nuovo Parlamento europeo che tenga conto delle peculiarità, della storia e della identità dei singoli popoli dell’Unione.

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