Servono davvero i programmi dei partiti italiani per le prossime elezioni europee a comprendere le proposte per una nuova Ue? Solo in parte, spiega Salvatore Zecchini, che li ha letti e commentati. Cosa c’è e cosa manca
Si sta andando verso le elezioni per il Parlamento europeo e molti italiani si chiedono quale rilevanza abbiano per le loro attività e più in generale per il loro benessere futuro, e quali azioni verranno perseguite a questo fine dalle forze politiche che si contendono il loro voto. Il dibattito si è in gran parte concentrato su temi di politica prettamente italiana per le implicazioni sul piano innanzitutto interno, quindi per le attività del Governo, e in seconda battuta per i riflessi sul piano delle politiche europee. In concreto, rimane sullo sfondo e non in prima linea la scelta su quale ruolo debbano svolgere i rappresentanti italiani nel plasmare la futura politica europea alla luce dei problemi che assillano il Paese.
Da quest’ultimo punto di vista, i temi caldi si possono riassumere in pochi punti: il declino demografico e la regolazione dei flussi d’immigrazione, la palese incapacità dell’Italia, e anche dell’Europa, di accelerare il ritmo di formazione della ricchezza nazionale, il ritardo nell’avanzamento tecnologico in comparti cruciali e nell’innovazione in tutti i campi, non solo in quello delle imprese, e la protezione dell’ambiente dai danni delle attività umane. In queste aree problematiche gli interventi nazionali debbono uniformarsi ai principi e alle regole dell’Unione europea, nonché far leva sulle sinergie dell’operare coerentemente con gli obiettivi comuni e in collaborazione con i partner europei.
L’agenda europea, tuttavia, impone soprattutto scelte su problemi attinenti all’area nel suo insieme, in quanto l’Europa è costretta a confrontarsi con una guerra ai suoi confini orientali, con l’urgenza di rafforzare la sua difesa, con una disputa con la Cina per gli squilibri nelle relazioni economico-commerciali, con gli sconvolgimenti nell’area medio-orientale e con la riconfigurazione delle filiere globali del valore per ridurre la sua dipendenza dalle forniture di paesi non pienamente affidabili.
Su questo doppio binario si snodano i programmi dei principali partiti italiani, lasciando nondimeno incertezze sulla loro posizione quando giungerà il momento delle scelte della futura Commissione e delle politiche da seguire su quei temi. Non tutti i partiti hanno presentato un programma elettorale, né era richiesto analogamente alle ultime elezioni politiche: il principale partito nel Parlamento italiano ne ha tracciato le grandi linee in pronunce in occasione di eventi pubblici. In contrasto, la formazione dell’ex premier Conte ha prodotto un lungo documento programmatico che guarda più alle problematiche interne che a quelle europee, estendendosi a proporre soluzioni su temi in cui è prevalente la competenza nazionale.
Solo per fare qualche esempio, non rientrano nella sfera primaria dei poteri dell’Ue le adozioni, la procreazione assistita, il reddito di cittadinanza e il salario minimo, il rimpatrio delle imprese che delocalizzano, gli interventi sui profitti delle compagnie elettriche, e la riduzione dell’affollamento delle classi, tutte proposte che appaiono in contrasto con il principio di sussidiarietà dell’azione a livello europeo. Contrastano anche con le regole fondanti dell’Unione monetaria le proposte d’intervento nella politica monetaria e di vigilanza bancaria della BCE, nell’euro digitale, nel credito alle Pmi, in quanto la Bce gode di una cruciale autonomia in materia.
Su molte altre proposte attinenti a nuovi diritti e nuove direttive il programma resta sul piano delle invocazioni di principi senza tenere conto delle conseguenze in termini di costi e compatibilità con altre misure. Ad esempio, l’introduzione della settimana corta di lavoro in un’area economica che ha un deficit di produttività con effetti negativi sulla competitività, ed è impegnata nell’adozione delle tecnologie dell’Intelligenza Artificiale, il rincaro dell’ora di lavoro può incentivare le imprese a sostituire alcuni tipi di prestazioni lavorative con applicazioni di IA. Ma sul problema su come far avanzare la produttività del lavoro non si dice nulla, né si chiarisce come finanziare i diversi incentivi che si propongono. Si auspica una nuova politica industriale integrata con quelle del lavoro e della sostenibilità senza indicare con quali strumenti.
In materia di salario minimo, riduzione dell’orario di lavoro, retribuzioni, istruzione, precariato e politiche sociali le indicazioni del maggior partito d’opposizione sono sostanzialmente sulla stessa linea di quelle del Movimento di Conte. Sulla politica industriale resta nel generico, sostenendo un maggior ruolo dell’intervento pubblico in funzione complementare con l’iniziativa privata e con vincoli su incentivi ed agevolazioni per perseguire gli obiettivi della transizione verde e della sostenibilità sociale. Le proposte di maggior peso toccano punti cardine dell’Unione, lasciando dubbi sulla loro fattibilità, nonché sulla vantaggiosità per il Paese.
In specie, si propone la riforma dei Trattati per dare un ruolo maggiore al Parlamento europeo nel processo legislativo e nella definizione del bilancio e delle risorse “proprie”, benché questi siano temi in discussione da molto tempo e su cui si concentra l’opposizione di una maggioranza di Paesi membri. Anche nel caso di approvazione non è affatto scontato che sarebbero di beneficio per l’Italia, in quanto i problemi della sua economia si distanziano significativamente da quelli degli altri membri dell’Ue. Ancor più gravide di rischi e povere di realismo sono la proposta di infrangere la regola dell’unanimità nei campi dove ancora si applica e l’opposizione al nuovo Patto di Stabilità perché non lascia più flessibilità nel rientro dall’eccesso di debito pubblico e nel sostegno agli investimenti. Sembra che non si curi di come reagirebbero i mercati finanziari e gli altri paesi membri nel valutare la situazione debitoria italiana nel caso in cui al Paese fossero consentiti spazi ancor più ampi nel ritardare la riduzione del debito. Il Nuovo Patto ha già fatto concessioni molto importanti, pur mantenendo un minimo di regole per ancorare l’unione monetaria nella stabilità.
Su un piano generico rimane il programma del partito della presidente del Consiglio: i temi su cui si impegna sono la riduzione del cuneo fiscale, l’esclusione di nuove imposte, la regolazione dei flussi migratori e la sicurezza. Si tratta di problemi rilevanti per l’agenda di politica interna più che per quella europea. Su quest’ultimo versante, tuttavia, l’impostazione è chiaramente di rivendicazione della sovranità nazionale, temperata dalla disponibilità a cooperare con i Paesi partner per soluzioni condivise e solidali.
Il programma di Forza Italia ha punti di convergenza con le proposte sia del Pd che del M5S in fatto di riforma dei Trattati, rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, voto a maggioranza, regolazione dell’immigrazione e riforma della Pac Proposte ad alto contenuto innovativo sono, invece, l’elezione diretta del presidente dell’Ue, una strategia per la competitività, la messa in comune del debito, l’armonizzazione delle aliquote fiscali, la formazione di una Unione dell’Energia per integrare i mercati nazionali in un unico sistema, e la promozione del nucleare di nuova generazione. Si tratta di progetti ambiziosi che richiedono tempi lunghi per raccogliere i necessari consensi tra i partner e per attuarli. Più concrete nel breve termine sono le proposte di tutela della filiera dell’automotive, messa a dura prova dalla transizione all’elettrico, di neutralità tecnologica nelle misure per la decarbonizzazione, di semplificazione dell’accesso ai finanziamenti dei Fondi europei e di espansione degli investimenti nell’intelligenza artificiale. Degna di nota è altresì l’attenzione rivolta allo sviluppo della ricerca, al suo collegamento con le attività delle imprese, ad estendere l’utilizzo dei Fondi europei per il sostegno alla natalità e alla crescita dimensionale delle imprese per competere nei mercati internazionali. Questa attenzione non si traduce, tuttavia, nell’indicare modi e mezzi per raggiungere gli obiettivi.
La Lega, invece, non propone un programma ma un’azione su pochi assi, orientati a ridurre l’invadenza dell’Ue nelle politiche del Paese, a proteggere l’industria nazionale dell’auto dalle scelte ambientaliste dell’Ue, e a contrastare le norme europee per il risparmio energetico nell’edilizia abitativa. Neanche il partito di Renzi prospetta un programma, ma si pronuncia in favore di una maggiore integrazione europea nella prospettiva di giungere agli Stati Uniti di Europa.
In contrasto, il partito di Calenda presenta un’agenda articolata in dieci punti cardine, descritti sinteticamente, ma di grande respiro. Il richiamo prioritario al pieno sostegno all’Ucraina è lo spunto iniziale per il rafforzamento della politica estera europea e per un’unione della difesa e delle forze armate europee, giungendo alla nomina di un Commissario alla Difesa col compito di orientare i paesi verso una difesa in comune. Nell’attribuire maggiori poteri al Parlamento si allinea sulle posizioni di altri partiti e converge con loro nel modificare la politica ambientale al fine di contenerne i costi per imprese e famiglie e per la parità di sostegno alle diverse tecnologie, incluso il nucleare, nella transizione verde. Nel sostenere una nuova politica industriale comune rimane nel generico, occupandosi principalmente delle implicazioni per il mercato unico delle recenti aperture agli aiuti nazionali e della necessità di un accordo con gli Usa per liberalizzare gli scambi commerciali, gli investimenti e i trasferimenti di tecnologia. Grande importanza è assegnata all’intera gamma delle politiche sociali, da sanità a istruzione e nuovo welfare 4.0, senza entrare nelle specifiche misure, ma con l’eccezione dell’urgenza di regole europee sull’età di accesso ai social e ai siti vietati.
Un programma elettorale è stato presentato anche dalla nuova formazione politica del giornalista Santoro, un programma marcato dall’estremo pacifismo e da un’impronta populista comune ad altre formazioni. Molte misure sono analoghe a quelle di altri partiti, ma la logica che le sostiene appare diversa ed estrema.
Negli elettori questa congerie di programmi e non programmi non può che generare grande confusione e dubbi su quali sarebbero i risultati nelle decisioni adottate tanto dal nuovo Parlamento, quanto dal Consiglio, che condivide il potere decisionale. Non si parla del ruolo del Mercato Unico nel processo di crescita economica dell’area, né di concorrenza, né delle riforme e degli investimenti necessari per accrescere la produttività e quindi la competitività. Soltanto in un programma si accenna alla competitività e all’importanza di una disciplina degli aiuti di stato sia per la concorrenza, sia per la creazione di grandi imprese capaci di competere sui mercati globali. Si presta più attenzione alla protezione sociale, che a convogliare risorse più consistenti verso la ricerca scientifica per le applicazioni produttive e l’innovazione tecnologica, entrambi fulcro per generare maggiore prosperità.
In tutti i programmi le indicazioni sulle azioni da perseguire a Bruxelles restano sul piano non operativo degli obiettivi, con rare eccezioni, quali l’iniziativa per il salario minimo europeo a 9 euro. Non sembra che si sia tratto alcun spunto dalle tante proposte ed analisi del Piano Letta, preparato su incarico della Commissione e che si è esteso sino a presentarsi come un vero piano di azione europea per il prossimo quinquennio. Certamente nei programmi dei partiti non vi è stato un deficit di ideazione, ma forse una cura a non assumere impegni precisi per non essere poi smentiti dalla realtà con cui ci si deve confrontare nel Parlamento europeo.
Pertanto, che peso potrebbero avere questi programmi nelle scelte di voto degli elettori? Probabilmente relativamente poco, anche in considerazione dell’assenza di nuove misure cosiddette “bandiera” di grande richiamo, se si fa eccezione per la riproposizione di quelle già provate, quali il reddito di cittadinanza, il salario minimo e il superbonus, che hanno squilibrato ulteriormente le precarie condizioni della finanza pubblica italiana. Attualmente spazi per reintrodurre queste misure sono realmente inesistenti nel bilancio pubblico, se il Paese non vuole pagare un caro prezzo in termini di sovranità di politica economica. Nelle scelte, quindi, saranno predominanti il carisma e le doti dei leader politici, insieme al tornaconto che deriverà all’elettore per il suo sostegno politico.
Dopotutto, le vere scelte si faranno a Bruxelles nelle aggregazioni di forze politiche di diversa nazionalità, aggregazioni necessarie per poter contare sia nel Parlamento, sia nel Consiglio, sede in cui la difesa dell’interesse nazionale è più pressante.