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Europa e pace. Perché quello dei cattolici è un documento innovativo

A Trieste Acli, Agesci, Azione cattolica, Comunione e liberazione, Sant’Egidio, Mcl, Movimento per l’unità, Rns e Aidu hanno firmato un documento inviato ai candidati per l’Ue, un tentativo importante di rivitalizzare l’impegno politico dei cattolici italiani, al di là e al di sopra della loro presenza in questo o in quel partito. Un testo comune, condiviso, che mira a ispirarne l’impegno nei vari contesti. La riflessione di Riccardo Cristiano

Appello nel nome della pace e dell’Europa. Quando i primi firmatari sono Acli, Agesci, Azione Cattolica, Comunione e Liberazione, Comunità di San’Egidio, Movimento Cristiano dei lavoratori, Movimento cristiano per l’unità e Rinnovamento nello spirito, si può dire che è l’appello dell’associazionismo cattolico. E il fatto che sia stato firmato a Trieste lo lega indiscutibilmente all’imminente edizione delle “Giornate sociali” dei cattolici in Italia, sul tema “Al cuore della democrazia”, che si svolgerà proprio a Trieste. Dunque un tentativo importante di rivitalizzare l’impegno politico dei cattolici italiani, al di là e al di sopra della loro presenza in questo o in quel partito. Un testo comune, condiviso, che mira a ispirarne l’impegno nei vari contesti.

Le parole chiave sono chiaramente due: pace ed Europa. La pace viene così definita come l’impegno prioritario di chi si candida a governare l’Europa dopo le imminenti elezioni europee, una pace fondata “sull’infinita e inalienabile dignità dei popoli”. Qui va segnalata un prima novità. Non figura nel testo, ed è a mio avviso un sofferto ma rilevante sviluppo, la parola “giustizia”. È un bene, a mio avviso, perché ogni lotta è in nome della giustizia, senza dubbio: ma quale giustizia? Ognuno ha la sua idea della giustizia che persegue e propone: il rischio di rimanere incagliati in una indisponibilità ad ogni negoziato, ad ogni “compromesso” è evidente. Compromesso che, si badi bene, non leda, ma faccia progredire “l’infinita e inalienabile dignità dei popoli”.

La questione è delicatissima, perché se nessuno può pensare di rinunciare alla giustizia, il compromesso, che molto spesso rappresenta o può rappresentare l’obiettivo negoziale tra idee incompatibili di giustizia, rappresentazioni troppo diverse, o tra integralismi che a nulla rinunciano della loro idea di giustizia, va vissuto come un dato di realtà, ma soprattutto come una tappa di avvicinamento alla giustizia. Ecco allora, a mio parere, la scelta felice: fondare la pace “sull’infinita e inalienabile dignità dei popoli”. Questa è una traduzione concreta dell’idea di giustizia, da sempre cara particolarmente ai cattolici, che infatti hanno chiamato “pontificio consiglio della giustizia e della pace” l’ufficio vaticano che si occupa di queste tematiche, ora significativamente assorbito nel più ampio “dicastero per il servizio allo sviluppo umano integrale”. Questo servizio ovviamente mantiene la giustizia e la pace come propri obiettivi, ma dandogli il carattere di un cammino, di un obiettivo permanente. La pace e la giustizia non sono in un tratto di penna, ma in cammino. Si può dire che nulla cambia? Non mi sembra: certo che gli obiettivi non cambiano, ma detto così si ha l’impressione di trovarsi davanti ad un progressivo sviluppo di un cammino, che rimane per sempre, o se si vuole fino al definitivo raggiungimento.

Così le certe ragioni dell’altro, che esistono sempre, rientrano in un percorso che continua, non deve finire domani, ma ha dei paletti, cioè l’“infinita e inalienabile” dignità dei popoli. Quell’infinita in particolare a me sembra un’espressione felice, perché fa capire che non finendo mai non si consegue in modo finito, domani. Il lavoro per la dignità dei popoli non finisce mai, e come qualsiasi negoziato di pace, ogni altra azione non la raggiunge in via definitiva, ma deve tendere ad avvicinarla, ad allargare la sua dimensione, sempre di più.

Il negoziato, la comprensione reciproca, la mediazione, devono quindi avere una bussola, non si passa all’empirismo senza principi, questo è chiaro, ma non ci si adegua neanche alla logica bellicista per cui da una parte c’è il torto e dall’altra la ragione, la verità. Questo lavoro è necessariamente sofferto, basta pensare a un conflitto che a chi legge sia particolarmente caro, presente, per capirne la difficoltà. Ed è proprio per questo che si nota una differenza profonda e decisiva tra questo documento e quello del congresso mondiale del popolo russo, celebratosi recentemente a Mosca nella cattedrale di Cristo Salvatore, che ha definito santa la guerra contro l’Occidente, sentina di ogni male. Cosa c’è di più facile di individuare un “altro” e definirlo depositario di ogni nefandezza, turpitudine? È questa la vera diversità tra questo importante documento che con coraggio cerca di aprire spazi alla pace che non è semplice tacere delle armi e chi invece le invita a sparare, nel nome della santità della guerra, ovviamente “contro il male”. Al contrario il lavoro per la pace aumenta e difende “l’infinita e inalienabile dignità dei popoli”, questo è il parametro, questi i paletti. Sorprende non positivamente invece l’assenza di un’altra parola, “sviluppo”. Per Paolo VI, come è noto, sviluppo è sinonimo di “pace” e nel discorso che abbiamo sin qui fatto l’idea di sviluppo, non solo negoziale, avrebbe integrato benissimo l’assunto proposto.

Nel passaggio sull’Europa è decisiva la citazione, chiarissima, del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Una citazione che definisce la direzione che il documento attribuisce all’impegno in Europa, sogno di pace nato sulle macerie: “il mondo ha bisogno di pace, stabilità, progresso, e l’Unione europea è chiamata a dare risposte concrete alle aspirazioni di quei popoli che guardano al più imponente progetto di cooperazione concepito sulle macerie del secondo conflitto mondiale”.

Non è solo “più Europa” in Europa, ma nel mondo. Su questo ovviamente non ci si potevano attendere parole preoccupate sulla direzione opposta che l’Unione Europea sembra proprio aver imboccato in particolare nel Mediterraneo, quell’estero vicino che fa da cartina di tornasole della propria proiezione nel mondo, come per la Russia anche per noi. Certo la citazione prescelta si commenta da sé. E visto che questo documento-appello è rivolto ai leader europei come a coloro che si candidano a guidare l’Europa la scelta sottostante alla citazione di Mattarella appare chiara, ma c’è un’altra frase cruciale: “Non possiamo rassegnarci al fatto che la retorica bellicista e la non cultura dello scontro invada la nostra vita dalle relazioni personali alle relazioni sociali e politiche”.



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