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Gli elettori puniranno l’Europa per non aver risolto la guerra in Ucraina. L’opinione di Guandalini

Il voto che eleggerà il Parlamento di Strasburgo valuterà quello che non è stato fatto per chiudere il conflitto in corso. È mancata la capacità diplomatica di avviare una negoziazione. Se ne uscirà senza vincitori e vinti. Mentre il Vecchio continente sta pagando le conseguenze del disordine economico. L’opinione di Maurizio Guandalini

Alcuni post-it di rilievo. C’è chi sostiene che il voto degli italiani per l’Europa non sarà condizionato dal conflitto russo-ucraino. E chi indica la stragrande maggioranza dei cittadini, contraria all’invio di armi e favorevole a un cessate il fuoco da ora. L’attorcigliarsi contorto delle ostilità diventa malagevole, anche per l’osservatore più attento, risalire e mettere insieme la scansione dei fatti e quindi ipotizzare scenari possibili.

La deglobalizzazione

Il 9 giugno si vota per l’Europa. Per il Parlamento di Strasburgo. E nella travagliata vicenda russo-ucraina l’Europa ha difettato di protagonismo nella ricerca di soluzioni diplomatiche. I suoi passi azzardati e disgiunti hanno consegnato un patchwork delle relazioni internazionali mozzato in più parti. Colpevole delle difficoltà economiche odierne. Proseguimento delle pene patite durante e dopo la pandemia (per approfondimenti, Africa&Gulf. Atlante dei Paesi in crescita nell’era del coronavirus, a cura di M. Guandalini, Mondadori Università). Uno stop pesante della globalizzazione (la globalizzazione è stato un tonificante che ha favorito un calo senza precedenti della povertà globale), confermato da un recente articolo su The Economist che rileva i tre motivi  della deglobalizzazione in corso. Il decadimento delle istituzioni globali. L’improvvisa moda della politica industriale. E la proliferazione di misure economiche punitive. Come le sanzioni. Che hanno generato, a catena, un sistema di mosse e contromosse (se le imprese per evitare le sanzioni usano le triangolazioni, alle sanzioni secondarie americane verso le istituzioni finanziarie russe il Cremlino risponde  riorganizzandosi con il sistema delle criptovalute). La reciprocità dei dispetti pesanti. È di questi giorni la decisione della Corte di San Pietroburgo di requisire 463 milioni di euro di Unicredit che immediatamente si è opposta alla decisione reclamando una precedente sentenza che aveva stabilito Parigi come foro competente. Questo procedere porterà altro caos sui mercati internazionali (per le nazionalizzazioni rimandiamo al precedente articolo su Formiche.net).

La sfida elettorale europea e l’illusione dell’imminente vittoria ucraina

La complessità della sfida elettorale europea risiede qui. Prima la pandemia, poi il conflitto russo ucraino hanno reso ancor più sovrani i singoli stati dell’Unione. La mancanza di collegialità, direzioni comuni, aiuto comunitario reciproco – chi invia armi, chi non le invia, chi è contrario, chi parla con la Russia, chi gli chiude le porte, chi ha lasciato al fai da te nazioni come l’Italia, nell’approvvigionamento dell’energia, chi vuole inviare truppe, chi non lo farà mai, ecc. –  dentro un pachidermico moloch di ventisette paesi ha reso e renderà sempre più autarchico il cammino delle nazioni che ne fanno parte.

Si può storicizzare. I cittadini europei sono in grado di giudicare gli anni trascorsi dall’inizio della guerra. Vedono quotidianamente i patimenti di uno svolgimento che ha condotto l’Ucraina, sollecitata dal Vecchio continente, in un vicolo cieco. Senza soluzione. E in buona parte le colpe sono da affidare all’assenza di strategia comune, lasciata dal primo momento, nelle mani esclusive di Zelensky – lo decideranno gli ucraini quando sarà l’ora di terminare la guerra, di siglare la pace che andrà bene a loro -, condannando il Presidente ucraino a intravedere, ipotizzare, vittorie, palesemente impossibili, subordinate alla fornitura di nuove armi. E per giustificare l’ipotesi di una vittoria prossima e imminente qualche giorno fa i generali ucraini hanno estratto un bollettino di guerra che certificava la morte di diecimila soldati russi nella settimana dal 12 al 19 maggio. È la voce di Kyiv mirata a confutare le tesi che nuove e massicce armi condurranno alla vittoria finale. Dopodomani.

Soluzioni possibili, da Macron a Francesco

Non sorprenda il quadro descritto. Il motore della strategia europea ha funzionato sempre con questa benzina. Elevata a teorema. Dall’inizio del conflitto. Mandare armi per vincere. Nel giro di poco tempo. Abbandonando qualsiasi ruolo diplomatico e negoziale possibile. L’Europa ha preso parte generando e alimentando l’escalation del conflitto stesso. Non curante degli sviluppi, politici ed economici, drammatici conseguenti. Affidandosi completamente alla voce di Zelensky e non facendo, però, i compiti, di ruolo, fino in fondo. Dallo stop and go dell’invio di armi. Lasciando interdetta l’opinione pubblica che  non comprende  la strategia, lo sbocco, la fine.

Gira costante la tesi che gli Stati Uniti hanno volutamente rallentato la fornitura di armi e lasciato agire Putin a conquistare territori  per farli divenire poi materia di trattativa in un futuro tavolo di pace (recuperando la bozza tracciata a Istanbul nel marzo 2022). È così veritiera questa road map che ha fatto sbottare Zelensky, “ci troviamo in una situazione assurda in cui l’Occidente ha paura che la Russia perda la guerra. E allo stesso tempo non vuole che l’Ucraina la perda”.  Non sarà un caso che Zelensky non lascia aperto alcun margine di eventuale dialogo con la Russia rinunciando, e non fidandosi, alla proposta di “tregua olimpica” prospettata da Macron.

Fatte salve le buone intenzioni del presidente francese, è la rappresentazione di un modo confusionario di muoversi dell’Europa che si appresta in futuro a discutere di difesa comune. È il classico agire incostante, passeggero, individualista e utilitaristico, in questo caso della Francia, che non può essere un modello europeo originale di risoluzione delle crisi. Qualcuno pensa che gli Stati nazionali sovrani rinunceranno al loro protagonismo in una ridefinizione ipotetica di ruoli e funzioni dentro i palazzi di Bruxelles?

Convincere Zelensky

Alle tante domande che si sta ponendo l’elettore europeo ce ne è una basica. Perché le parole del papa sono passate inascoltate, già nel febbraio 2024 premonitrici di come sarebbe andata finire? “Kyiv abbia il coraggio della bandiera bianca”. “Negoziare non è la resa”. “È più forte chi pensa al popolo. Non abbiate paura di negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali prima che la cosa sia peggiore”. Il maggior stupore non è scaturito dal rifiuto ucraino ad accogliere le parole del papa ma dalla stranezza che non vi fosse una reazione del popolo ucraino, strattonando, se necessario, la maglietta di Zelensky per dirgli fermati qui.

L’Europa naturalmente non ha proferito verbo. Ha sempre un moto di dichiarazioni occasionali espressione della solidarietà verso l’Ucraina e il resto morta gora. Che è l’inerzia disorientata e sprovveduta di Bruxelles, non in grado di tutelare nel momento di massimo pericolo gli interessi dei cittadini che fanno parte della grande comunità europea. E sicuramente i milioni di astensioni previste, in Italia – ma pure in altre nazioni maggiormente toccate dalle conseguenze della guerra -, si prevede una partecipazione al di sotto del 50%, sono sintomo di precarietà e fragilità.

Dal 13 al 15 giugno ci sarà in Italia il G7 al quale è stato invitato il papa a parlare di intelligenza artificiale. Non sarebbe stato più opportuno sentire Francesco a dire la sua sulla guerra, su come uscirne, la versione corretta della sua proposta di fronte ai grandi della Terra in sofferenza di leadership?

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