Nella speranza, forse vana, di porre fine una volta per tutte all’annosa querelle, vale la pena pubblicare un consistente estratto dell’intervista che Giovanni Falcone rilasciò a Mario Pirani di Repubblica il 3 ottobre 1991…
Non è il primo, non sarà l’ultimo. Sono anni che chi sostiene la bontà della separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante ricorda che anche Giovanni Falcone si disse favorevole e sono anni che i magistrati contrari alla separazione delle carriere negano che Giovanni Falcone si fosse espresso a riguardo. I più arditi sostengono fosse, addirittura, ferocemente contrario.
Oggi, su Repubblica, è stato il turno dell’arditissimo Piero Grasso. “Falcone si sta rivoltando nella tomba”, ha detto l’ex procuratore nazionale antimafia. Il quale, dopo aver sostenuto che “lo sport più diffuso è quello di attribuire a Falcone dopo la sua morte idee che non lo avevano nemmeno sfiorato”, ha parlato esplicitamente di “fake news”.
Nella speranza, forse vana, di porre fine una volta per tutte all’annosa querelle, vale la pena pubblicare un consistente estratto dell’intervista che Giovanni Falcone rilasciò a Mario Pirani di Repubblica il 3 ottobre 1991.
Si parlava della riforma Vassalli e del nuovo Codice di procedura penale. Quelle che seguono sono le parole, mai smentite, di Giovanni Falcone: “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’esecutivo”.
Le stesse, pretestuose, accuse che Giovanni Falcone lamentava di subire da certi suoi colleghi per aver sostenuto la necessità di “una differenziazione strutturale nelle competenze e nella carriera” di pm e gip vengono oggi rivolte al ministro Carlo Nordio.