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Francesco, il problema seminari e quella parola sbagliata. La riflessione di Cristiano

Quella del papa è una preoccupazione credo dovuta per chiunque si renda conto dei problemi odierni. Il termine che ha usato è brutto, ma il vero problema a mio avviso è che Francesco, il papa che non ha smesso di ricordare che il clericalismo è una questione grave, persegue il tentativo di razionalizzare un sistema che non funziona, e cioè: perché ci devono essere i seminari? Riccardo Cristiano riflette sulle parole che Bergoglio avrebbe pronunciato durante un incontro a porte chiuse con i vescovi italiani

Rispondendo a una domanda sull’ammissione degli omosessuali in seminario, papa Francesco avrebbe detto: “Guardate: c’è già un’aria di frociaggine in giro che non fa bene. C’è una cultura odierna dell’omosessualità rispetto alla quale chi ha un orientamento omosessuale è meglio che non sia accolto” in seminario perché “è molto difficile che un ragazzo che ha questa tendenza poi non cada perché vengono pensando che la vita del prete li possa sostenere ma poi cadono nell’esercizio del ministero”.

Sono queste le parole precise, a quanto apprende l’Adnkronos, pronunciate dal papa nell’incontro di lunedì scorso a porte chiuse con i vescovi italiani che certamente hanno fatto “sussultare” gli stessi vescovi, come confermano loro stessi, ma che il pontefice ha utilizzato per mettere in guardia i presenti sul fatto che quello che per la cultura di oggi sembra la cosa più normale, per il ministero ordinato non lo è, esponendo i giovani “al rischio di cadere”.

Non posso negare che la cosa mi abbia stupito: non quello che ha detto, ma dove lo ha detto. Il papa ha osato usare questo linguaggio gergale (che neanche ben conosce non padroneggiando la lingua italiana) parlando con chi si è sempre dimostrato non incline a mantenere un segreto su ciò che si dice “a porte chiuse”, cioè in segreto, nell’assemblea dei vescovi italiani. Questa la prima cosa che balza agli occhi.

Non sono io a poter dire cosa volesse dire, credo che la sostanza sia quel che il testo che qui ho citato, pubblicato dall’Adnkronos, chiarisca. E cioè nessun attacco agli omosessuali, ma al problema che un contesto che si vuole solo maschile può creare a un giovane che abbia questo orientamento.

Francesco capisce il giovane omosessuale che vuole entrare in seminario, ma dice che fingere che questo poi non possa farlo “cadere” non lo aiuta. Il mondo cambia (per fortuna), con tutto ciò che ne consegue.

Quella del papa è una preoccupazione che credo dovuta per chiunque si renda conto dei problemi odierni. Il termine che ha usato è brutto, ma il vero problema a mio avviso è che Francesco, il papa che non ha smesso di ricordare che il clericalismo è un problema grave, persegue il tentativo di razionalizzare un sistema che non funziona ma che il furore del confronto ideologico non consente di affrontare. E cioè: perché ci devono essere seminari?

Francesco vorrebbe rendere sano un sistema che a mio avviso non funziona e che non è neanche evangelico e che ne nasconde un altro, enorme: non si riesce a pensare a forme di autorità che non passino attraverso il clero, lo stato clericale, che ovviamente poi torna ad essere “casta sacerdotale”. E invece nel cristianesimo esiste un Sommo Sacerdote, Cristo, e un popolo sacerdotale, i battezzati tutti, come si capisce benissimo nella tradizione cristiana fino a Costantino. Oggi noi invece non sappiamo neanche che in occasione del battesimo veniamo “unti”; l’unzione, che attribuiamo al sacerdote, è di tutti i battezzati. Il termine “sacerdote” nella tradizione cristiana dei primi secoli non c’è. Si legge nella Prima Lettera di San Pietro: “Anche voi, come pietre viventi, siete edificati per essere una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo”.

I ministeri cristiani poi non sono soltanto quelli della custodia della dottrina (affidato ai vescovi) e della celebrazione dell’eucarestia (affidato ai sacerdoti), ma anche tanti altri, l’insegnamento del catechismo, il ministero della Parola e così via: riservarne alcuni al “clero ordinato” crea la “casta sacerdotale”, che a mio avviso è tale visto che si è sempre detto di un prete che venga allontanato per qualsiasi colpa che “viene ridotto allo stato laicale”: dunque la “stato clericale” si percepisce come superiore a quello laicale, quello di tutti i battezzati.

Indubbiamente per svolgere certi ministeri occorre studiare, anche i catechisti devono essere formati, anche l’esercizio del ministero della Parola richiede studi. Ma lo studio non richiede il seminario: dopo aver studiato in una normale università i vescovi potrebbero affidare il ministero al laico che ritengano, no? Anche un periodo di formazione in parrocchia potrebbe essere pensato.

Ho detto “affidare ad un laico”, perché oggi questi ministeri sono affidati solo a maschi. Ma è difficile capire perché. Se quando Cristo istituì il sacramento della Comunione (ultima cena) c’erano solo apostoli maschi, ma in occasione della Pentecoste c’erano anche le donne. Non capisco l’esclusione delle donne da questi ministeri, ma non ritengo che la soluzione sia adeguarsi al paradigma protestante, che non tocca il problema dell’autorità non clericale, del superamento di questa forma di autorità clericale. È un sistema che esclude, e che invece dovrebbe – nella mia opinione – essere inclusivo.

Il vocabolo usato da Francesco non piace, non mi piace, il senso di quanto ha detto è invece nobile, ma non pone quello che lui sa essere il vero problema: l’autorità non clericale. È quella che cambierebbe la Chiesa, rendendola Ecclesia, cioè assemblea popolare, significato della parola sin dai tempi dell’antica Grecia. Se si tiene conto di questo si capisce la riforma liturgica conciliare. Infatti non c’è più un celebrante che, come un comandante, guida i fedeli verso la verità (dando all’assemblea le spalle), ma una celebrazione comune, intorno alla mensa eucaristica. Tutti celebranti, dunque. Ecco che la soluzione è rendere tutti sacerdoti, svolgendo diversi ministeri. È la Chiesa tutta ministeriale di cui parla Francesco. Certo, il riformismo è necessariamente graduale, pensare di poter cambiare tutto in un giorno sarebbe follia. Fa bene Francesco a pensare ad un “processo” riformatore graduale (se a questo pensa). Ma l’ordine dei problemi, a mio avviso, è questo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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