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Il caso Ariston spaventa il G7. Retromarcia sui beni russi

Dopo aver messo alle strette il Cremlino con il sequestro degli asset e aver scatenato la reazione rabbiosa di Mosca, adesso sono i grandi della Terra a temere per le rispettive imprese. E per questo si prendono una pausa di riflessione

La paura è contagiosa e allora, se è vero che l’Occidente ha messo i brividi al Cremlino quando ha minacciato di sequestrare e utilizzare i beni russi detenuti in Europa per finanziare l’Ucraina, allora è altrettanto vero che Mosca è riuscita nel far cambiare idea, almeno per il momento, ai grandi della Terra riuniti nel G7, proprio sullo smobilizzo degli asset.

I leader delle sette economie globali, temendo forse altri espropri coatti di imprese straniere ancora in terra di Russia, all’indomani dei casi Ariston e Bosch, si sarebbero presi insomma una pausa di riflessione. È certo che Vladimir Putin abbia accusato il colpo dinnanzi alla ragionevole prospettiva di 300 miliardi di asset russi strappati dalle sue mani. E la paura deve averla provata anche lui, reagendo e facendo sue le filiali delle aziende occidentali rimaste in Russia.

Ma anche l’Occidente deve aver provato un brivido. Come noto, anche su pressione degli Stati Uniti, nell’ambito del G7 a guida italiana si stava ragionando a carte scoperte su una possibile monetizzazione di 3 miliardi di interessi nel solo 2024, legati agli asset poc’anzi menzionati. Washington avrebbe voluto un accordo politico in tempo per la riunione in Puglia il prossimo giugno ma ecco che, secondo il Financial Times, ci sarebbero stati dei ripensamenti, nelle stesse ore in cui il governo italiano prova a studiare il modo con cui salvaguardare le imprese tricolori azzannate da Mosca.

Secondo il quotidiano britannico, però, la confisca completa dei beni congelati della Russia non è più all’ordine del giorno e il G7 sta esplorando misure alternative per ricavare fondi da girare all’Ucraina. Questo perché i i Paesi europei vogliono tenersi alla larga da qualunque misura che possa colpire gli asset stessi per timore di ritorsioni, come quelle dei giorni scorsi. Insomma, il sequestro ai danni di Ariston e della tedesca Bosch, firmato da presidente russo, ha fatto capire in modo chiaro che Mosca di fronte ad una eventuale confisca dei suoi beni detenuti in Europa, risponderà pesantemente. I Paesi europei, scrive il Ft, hanno afferrato il messaggio e così il G7 ha abbandonato la strada della confisca e sta esplorando misure alternative per ricavare fondi.

L’Ucraina da parte sua, continua a chiedere il sequestro totale dei beni della Russia. L’idea proposta dalla Casa Bianca, che era all’origine della confisca, era di recuperare circa 50 miliardi di dollari di finanziamenti per Kyiv tramite un prestito o un’obbligazione garantita dagli stessi profitti futuri derivanti dai beni congelati. Ma lo scetticismo non è mai mancato a cominciare da quello della Banca centrale europea per la quale “passare dal congelamento dei beni, alla confisca, allo smaltimento degli stessi potrebbe comportare il rischio di rompere l’ordine internazionale che si vuole proteggere”.

Ma la preoccupazione maggiore in seno al G7 riguarda il precedente che ciò creerebbe e di questo sono convinti anche certi economisti. “Il nostro sistema legale internazionale non ha una forza di polizia, si basa davvero sul rispetto fondamentale del diritto internazionale”, afferma Philippa Webb del King’s College di Londra, autrice di uno studio del Parlamento europeo sulla legalità della confisca dei beni della Russia. “Il rischio è che se iniziamo a ignorare questi principi, altri Stati potrebbero usarli contro di noi e creeremo un precedente che potrebbe avere effetti indesiderati”.


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