Skip to main content

Le incognite sul futuro della Nato di un (possibile) secondo mandato Trump

Nel suo primo mandato Trump ha spesso sollevato dubbi sulla solidità dell’Alleanza, minacciando di allentarne il livello di coesione, e ha promesso di farlo anche in un eventuale secondo mandato. Tuttavia, un allentamento dell’impegno degli Stati Uniti potrebbe avere l’effetto di rafforzare la coesione europea e di promuovere una maggiore integrazione all’interno dell’Ue in materia di difesa, uno stimolo che in passato è stato trascurato. L’analisi di Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica militare

Un secondo mandato di Donald Trump potrebbe mettere a dura prova la resilienza dei legami dell’Alleanza atlantica. Una delle maggiori critiche rivolte dal tycoon ai membri della Nato riguarda un necessario aumento della spesa per la Difesa. Un tema al centro delle discussioni del vertice del 2014 a Newport, in Galles, dove è stata concordata una tabella di marcia per raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil destinato alla difesa entro il 2024. Mentre molti Paesi si sono impegnati ad aumentare le loro spese militari, l’Italia ha incontrato difficoltà a farlo a causa delle sue sfide finanziarie interne.

Tuttavia va considerato che gli Stati Uniti traggono benefici significativi dalle vendite di armi ai Paesi europei. L’industria della difesa americana è uno dei principali fornitori di sistemi d’arma ai membri Nato, il che contribuisce alla sicurezza e alla capacità di difesa collettiva dell’Alleanza. Pertanto, il concetto di burden sharing dovrebbe tener conto non solo delle spese dirette per la difesa, ma anche dei benefici economici derivanti dalle vendite di armi. Un allentamento del rapporto transatlantico dovrebbe indurre i Paesi europei a una maggiore coesione e a una capacità di integrazione che finora non è stata nelle corde dei nostri governanti.

Quindi, paradossalmente un rafforzamento della coesione europea potrebbe far trovare agli Stati Uniti un interlocutore molto più autorevole di quanto non siano oggi i singoli Paesi europei. E quindi questo potrebbe rendere meno agevole la politica del governo di Washington. Il bilancio della difesa e della modernizzazione militare statunitense ha registrato una sostanziale continuità da Trump a Biden, crescendo e segnando la volontà del Pentagono di continuare l’opera di ammodernamento in modo tale da mantenere un gap tecnologico che oggi costituisce il punto di forza del mondo occidentale. Un altro elemento da considerare è la coesione all’interno dell’Alleanza atlantica.

Nel suo primo mandato presidenziale Trump ha spesso sollevato dubbi sulla solidità dell’Alleanza, minacciando di allentarne il livello di coesione, e ha promesso di farlo anche in un eventuale secondo mandato. Tuttavia, un allentamento dell’impegno degli Stati Uniti potrebbe rafforzare la coesione europea e promuovere una maggiore integrazione all’interno dell’Unione europea in materia di difesa, uno stimolo che in passato è stato trascurato. La struttura mentale di Trump lo porta a preferire approcci bilaterali nei negoziati e negli accordi internazionali, un approccio molto short-sighted, di vista corta, perché le convenienze su base bilaterale possono cambiare rapidamente e rimettere così in discussione gli accordi.

Al contrario quando c’è una base di consenso multilaterale, seppure la gestione del processo decisionale sia più faticosa, è anche più solida. Il timore è che un secondo mandato di Trump possa rivitalizzare i colloqui bilaterali, che acquisterebbero una valenza e una centralità maggiore rispetto a un contesto multilaterale dove è necessario scendere a compromessi. L’approccio bilaterale non sarebbe né nell’interesse americano né in quello dei suoi partner e potrebbe, anzi, essere più vantaggioso per gli interlocutori di quanto non lo sia per gli Stati Uniti.

Infine è importante considerare il ruolo di Washington nel mantenere la stabilità e la sicurezza globali. Un isolazionismo americano, in un eventuale secondo mandato di Trump, anche se non rappresenterebbe certo una novità per il Paese, non sarebbe nell’interesse degli Stati Uniti, poiché minerebbe la loro credibilità e influenza internazionale. È un approccio che potrebbe soddisfare la “pancia” di una determinata fascia di elettorato trumpiano, quella meno internazionalista, ma il danno che il Paese ne trarrebbe sarebbe molto elevato.

Questa strategia potrebbe indurre alcuni dei più importanti alleati degli Usa a ripensamenti o atteggiamenti meno in linea con gli interessi statunitensi, ad esempio nel sud-est asiatico. Da questo punto di vista, Trump dovrà necessariamente prendere atto della realtà e se non lo farà sarà un problema per Washington.

Analisi pubblicata sulla rivista Formiche 202

×

Iscriviti alla newsletter