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Spionaggio nelle università, l’Ue chiede cooperazione con l’intelligence

Settori come “semiconduttori avanzati, intelligenza artificiale, quantistica e biotecnologie” sono considerati particolarmente critici per la sicurezza economica dell’Unione europea. Per questo, serve un nuovo approccio alla salvaguardia della ricerca, basato sulla condivisione di informazioni tra atenei e agenzie

Lo spionaggio economico e industriale non è una novità. Basti pensare che nella Venezia del XIV secolo i costruttori di telescopi erano stati confinati nell’isola di Murano per evitare che finissero in mani straniere. Ma lo è il crescente livello di consapevolezza in Europa davanti alla minaccia rappresentata dalle attività di spionaggio sponsorizzate dagli Stati ostili come Cina e Russia.

La scorsa settimana gli Stati membri dell’Unione europea hanno invitato le grandi università del Vecchio continente a collaborare più strettamente con le agenzie di intelligence per evitare che le loro ricerche vengano rubate da Stati ostili. I rischi di “trasferimento non desiderato di informazioni, di interferenze straniere e di violazioni dell’etica o dell’integrità” sono sempre più evidenti negli ultimi anni, alla luce dei grandi sforzi di spionaggio attribuibili alla Cina. Gli Stati membri dell’Unione europea sono decisi ad “affrontare i rischi per la sicurezza della ricerca derivanti dalla cooperazione internazionale” e sottolineano la sensibilità delle tecnologie emergenti. Settori come “semiconduttori avanzati, intelligenza artificiale, quantistica e biotecnologie” sono considerati particolarmente critici per la sicurezza economica dell’Ue.

Tra le raccomandazioni adottate dal Consiglio, una prevede di facilitare lo scambio di informazioni tra le organizzazioni di ricerca e i servizi di intelligence “per esempio attraverso briefing classificati e non classificati o funzionari di collegamento dedicati”, in modo che possano tenersi aggiornati sui rischi che corre la ricerca in queste aree. Un’altra chiede una maggiore attenzione politica alle sfide che il furto di proprietà intellettuale e il trasferimento di conoscenze possono porre, con la richiesta agli Stati membri di “sviluppare o rafforzare la cooperazione intersettoriale all’interno del governo, in particolare mettendo insieme i responsabili politici dell’istruzione superiore, della ricerca e dell’innovazione, del commercio, degli affari esteri, dell’intelligence e della sicurezza”.

Le proposte arrivano in un momento in cui l’Occidente mostra una consapevolezza sempre maggiore della minaccia, che richiede però anche un ripensamento del modo di operare delle imprese e del mondo accademico. Il mese scorso il direttore dell’MI5, il controspionaggio britannico, ha incontro i vertici delle maggiori università del Regno Unito sui rischi posti dagli Stati ostili. Un programma simile è presente negli Stati Uniti, dove l’iniziativa Safeguarding Science del National Counterintelligence and Security Center cerca di aiutare la comunità di ricerca a “progettare misure di protezione contro il potenziale uso improprio o il furto” di tecnologie chiave.

Come recentemente raccontato su queste pagine, anche l’intelligence italiana è impegnata sul tema, svolgendo la sua attività informativa (anche tramite il nuovo sito) per fornire gli strumenti necessari alla politica, che potrebbe alla fine decidere di aspettare le mosse della Commissione europea per evitare di esporsi. Come aveva spiegato a fine febbraio, alla presentazione della Relazione annuale 2023 sulla politica dell’informazione per la sicurezza, il prefetto Mario Parente, allora direttore dell’Aisi, la Cina ha “finalità di acquisire un patrimonio informativo e li porta a rivolgersi anche a circuiti universitari”. “Le università possono essere infiltrate, anche attraverso finanziamenti più o meno mediati”, aveva detto ancora assicurando che da parte dell’intelligence c’è “un’attenzione molto forte”.

È un’urgenza, considerato il contesto italiano: ci sono 16 Istituti Confucio ma “manca un dibattito sulla loro presenza o sui rischi che potrebbero comportare”, ha evidenziato recentemente il centro studi tedesco Merics; non ci sono linee guida “per le università su come gestire le partnership con le università cinesi”, hanno aggiunto gli stessi esperti; secondo un altro recente rapporto del Merics, tra il 2013 e il 2022 le co-pubblicazioni tra la Cina e l’Italia sono aumentate del 258 per cento; secondo la società di consulenza Datenna, il nostro Paese è tra quelli con il maggior numero di collaborazioni con i “Sette figli della difesa nazionale”, ovvero le altrettante università finanziate dal governo cinese per contribuire allo sviluppo delle forze armate.


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