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L’Italia sostenga Draghi in Ue. La versione di Passarelli (Sapienza)

La freddezza con cui è stata accolta la presidente uscente della Commissione non passa inosservata. La volontà di ricandidarsi denuncia debolezza, e i partiti italiani – qualora la Francia ne avanzasse la candidatura – dovrebbero appoggiare Draghi. Su Difesa e Politica estera comuni occorrono un ministro degli Esteri e un commissario che abbiano chiare le priorità strategiche dell’Europa. Colloquio con il politologo della Sapienza, Passarelli

La volontà di Ursula von der Leyen di ricandidarsi alla presidenza della Commissione europea è “foriera di debolezza per la sua figura” e la “sottrae dalla possibilità di costruirsi un profilo definito”. A parlare con Formiche.net, partendo da una considerazione sulla visita della presidente uscente, ieri a Roma, è Gianluca Passarelli, professore di Scienza Politica all’Università La Sapienza. Assieme a lui, abbiamo cercato di analizzare la campagna elettorale, gli attori principali e di delineare i contorni delle prossime sfide europee.

Professore, che cosa contesta alla presidente von der Leyen?

Non si tratta di contestare, piuttosto di constatare. Ribadisco che, dal mio osservatorio, questa volontà di ricandidarsi al ruolo che sta portando a termine la pone in una condizione di debolezza. Tanto più che, per tentare nell’impresa, ha bisogno di coltivare rapporti con partiti ben oltre quello che appartengono alla famiglia politica cui appartiene. In generale, comunque, la sua è stata una figura abbastanza debole rispetto alla storia dei presidenti della Commissione: basta pensare a Prodi o a Barroso.

Proprio ieri, parlando con il direttore scientifico di Ipsos, si ragionava sull’affluenza e sul “fattore trascinamento” dei leader partitici. Lei come la vede?

Se è vero che storicamente le europee – in particolare dalle ultime due tornate – riscuotono meno successo in termini di partecipazione rispetto alle politiche, va anche detto che a determinare questo risultato concorrono una serie di fattori. Non c’è solo la disaffezione diffusa alla politica. Detto questo, i leader schierati in prima persona ci sono sempre stati: da Craxi, passando per Berlinguer e Zaccagnini. Le dinamiche elettorali, comunque, sono molto legate al leader. Per cui, che ci siano direttamente o che non ci siano, gli elettori in qualche modo comunque votano per loro.

Però Salvini e Conte hanno deciso di non scendere in campo. Come se lo spiega, alla luce del suo ragionamento?

Nel caso del leader pentastellato, si tratta di una decisione che in una certa misura rispecchia la natura del Movimento. C’è una forma di ritrosia a fare scelte di questo tipo. E, comunque, il messaggio elettorale viene diffuso anche grazie al “nome” del leader. Per Salvini invece il discorso è un po’ diverso. La Lega ragionevolmente avrà un risultato deludente. Non candidandosi, il segretario prova a scaricarsi parzialmente la responsabilità.

Che ruolo immagina per l’Italia nel contesto della prossima governance europea e di questa campagna elettorale?

Pleonastico dire che dipenderà molto dai risultati. La vera partita, con ogni evidenza, è quella della Commissione che tuttavia deve essere giocata con il Parlamento. Mi pare che fino a oggi l’Italia stia assumendo un atteggiamento di rimessa piuttosto che proattiva. La forza di un Paese si evince anche dal tipo di rappresentanza che esprime. Il contesto ci dice che nessuna famiglia politica potrà sostenere il proprio spitzenkandidat. Ci sarà dunque bisogno di una figura terza. E qui potrebbe entrare in gioco la Francia.

La famosa “carta Draghi” che potrebbe giocarsi l’inquilino dell’Eliseo.

Esattamente. In quell’ipotesi, io penso che i partiti italiani dovrebbero convergere sostenendo Mario Draghi al di là delle singole appartenenze politiche.

Sono due i pilastri su cui urge intervenire: difesa e politica estera comuni. Quali sono le scelte strategiche da perseguire su questi due fronti?

Dipende cosa vorrà fare l’Europa da grande. Se vuole rimanere un gigante economico, un nano politico e un “verme” militare, allora si può mantenere lo status quo. Se invece si vuole cambiare paradigma e avere un ruolo più forte all’interno della Nato, occorre davvero spingere per avere un esercito comune. Anche con operazioni a costo zero che riguardano la riorganizzazione e la razionalizzazione degli eserciti. Lo sforzo diplomatico, per il nostro Paese, deve essere orientato a rafforzare i rapporti con la Francia che in questi anni si è invece fortemente deteriorato. Serve, in definitiva, un ministro degli Esteri e un commissario per la Difesa che abbiano ben chiare le priorità strategiche europee.

Cosa ne pensa del duello Meloni-Schlein?

È positivo, sarà una buona occasione di confronto. Anzi, auspico che sia esteso anche ad altri leader: mi immagino un ipotetico confronto tra Salvini e Conte. Mi rammarico solo del fatto che si sia scelto di farlo da Bruno Vespa: mi pare una dimensione troppo “salottiera”.

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