La designazione del Kenya come non-Nato major ally conferma gli interessi statunitensi a una partnership che va dal mondo cyber, ai semiconduttori fino alla sicurezza, non solo regionale. Nairobi infatti guiderà una missione internazionale ad Haiti anche grazie al training dei Carabinieri. Incroci triangolari con il Piano Mattei
Gli Stati Uniti hanno elevato il Kenya a “non-Nato major ally”, status che conferisce a Nairobi una serie di privilegi nel rapporto con il Pentagono — ma che adesso, nell’era della iper-securitarizzazione, significa avere migliori relazioni in generale con Washington. Il Kenya è la prima nazione dell’Africa profonda che acquisisce la condizione di alleato “maggiore” non-Nato, dopo che tra i diciotto Paesi che godono di questo vantaggio erano già stati inseriti Egitto, Marocco e Tunisia.
L’amministrazione Biden punta molto sulla partnership con il Kenya, anche sperando che Nairobi possa contribuire a risollevare le sorti della difficile politica africana della Casa Bianca e a prendere un maggiore ruolo regionale/continentale. La politica africana degli Stati Uniti sta incontrando difficoltà dovute alle attività cinesi e russe (e iraniane), con i rivali che giocano anche forme di concorrenza sleale, attraverso attività di interferenza e disinformazione che producono una costante infowar anti-americana e anti-occidentali (i cui risultati sono per esempio visibili in ciò che sta accadendo a Niger, da cui gli Usa ritireranno il contingente tattico-strategico che da anni era di stanza sul territorio, frutto di un accordo con i precedenti governi democratici, obliterati lo scorso anno da una giunta golpista filo-russa.
Il lavoro da fare è complesso. Almeno due ex funzionari americani — entrambi già rappresentanti statunitensi alla Nato, Kurt Volker e Ivo Daalder — hanno pubblicamente criticato la nuova designazione perché limitata. Entrambi, su Poliitico, hanno spiegato che le scelta “è notevole perché dimostra che gli Stati Uniti apprezzano il Kenya”, ma dovrebbe essere anche accompagnata da nuovi accordi su difesa e sicurezza, con nuovi contratti per la fornitura di tecnologia militare ai kenioti. Tuttavia, la mossa dà a Washington un punto d’appoggio più forte nel continente africano. “È un simbolo potente della stretta relazione”, dice la dichiarazione congiunta diffusa dai presidenti Joe Biden e William Ruto. L’intesa si è consolidata dopo il vertice con cui la Casa Bianca ha ospitato due anni fa dozzine di capi di Stato e di governo del continente, per fare il punto sulle relazioni Usa-Africa.
Nairobi — una delle uniche capitali con cui Biden ha avuto comunicazioni dopo quell’incontro — sta diventando un partner di primo piano al punto che l’assistenza dei kenioti è stata richiesta anche per gestire il bubbone pseudo-casalingo di Haiti. Missione saltata per ora, ma che secondo fonti è pronta a partire presto. Gli Stati Uniti stanno cercando di creare un contingente multinazionale che possa ricomporre l’ordine nel Paese caraibico, piombato negli ultimi mesi in una spirale di caos, rimasta per lo più fuori dalle cronache mainstream ma sempre più preoccupante per Washington. In questa cooperazione c’è spazio per un ruolo incrociato anche dell’Italia: i Carabinieri in Kenya stanno fornendo training alle forze locali, su esplicita richiesta americana, spiegano fonti da Washington.
L’Arma, sempre per richiesta della Casa Bianca, in futuro potrebbe prendere parte come advisor alla missione haitina – le capacità di stability building del corpo italiano sono comprovate a livello internazionale, e a questo si deve tale richeista. Non è un’iperbole considerare certe dinamiche parte di quel Piano Mattei a cui gli Usa stanno prestando particolare attenzione perché – se l’Italia saprà arricchirlo di contenuti – può diventare vettore anche di priorità geo-strategiche del G7 in Africa. Dalla connettività alle attività di sicurezza, alle varie forme di cooperazione, tutto si lega. Tanto che il Kenya è tra i Paesi individuati da Roma come “pilota” per il lancio di iniziative congiunte, e sono già partite iniziative nel mondo della “food security” e non solo, mentre si stanno consolidando cooperazioni come quelle al Centro spaziale Luigi Broglio di Malindi.
Il Kenya si è dimostrato un partner prezioso per gli Stati Uniti, combattendo il gruppo estremista Al Shabaab in Somalia, contrastando l’influenza russa in Ciad (non-nuovo, prossimo grande problema della regione saheliana), Repubblica Centrafricana, Mali e in parte anche in Libia, nonché impegnandosi diplomaticamente con Congo, Sudan ed Etiopia per cercare di porre fine ai conflitti violenti. L’impegno per Haiti è una sorta di consacrazione del valore della cooperazione militare, occasione che Ruto sta sfruttando per spingere la crescita della capacita di standing internazionale del suo Paese. Questa viene rafforzata anche dall’impegno di Nairobi nel mondo cyber, digitale e in generale delle nuove tecnologie. Il dipartimento di Stato mira per esempio a espandere la forza lavoro del Kenya sul settore dei semiconduttori e a contribuire a rafforzare gli investimenti privati e le connessioni con la catena di approvvigionamento dei chip statunitense (superati una serie di inghippi normativi, il Kenya potrebbe diventare il primo Paese a ricevere finanziamenti sotto il Chips and Science Act).
Entro la fine dell’anno, gli Stati Uniti e il Kenya prevedono anche di ospitare un simposio regionale sulla sicurezza informatica, mente funzionari dai dipartimenti di Stato e Commercio viaggeranno nel Paese africano per fornire consigli sulla stesura di leggi e regolamenti riguardo alla sicurezza informatica — nel tentativo di coltivare ecosistemi digitali “sicuri e affidabili”. Recentemente Nairobi ha ospitato un forum internazionale su cybersecurity e intelligenza artificiale che ha fatto da benchmark per le discussioni africane sul tema, spiegano persone presenti all’incontro. Anche in quell’occasione sono state approfondite connessioni laterali e triangolari con l’Italia. Roma ha elevato il tema Cybersicurezza a oggetto di vertice speciale del G7, formato che sarà continuato anche il prossimo anno dal Canada anche nell’ottica della lotta alla disinformazione che sta minando la stabilità delle democrazie. Argomento che pone l’AI e la creazione di standard condivisi sui suoi applicativi, in cima alle priorità italiane proposte al gruppo (e accettate): un lavoro che vede il Kenya in prima fila per l’Africa.