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Kyiv, le armi contro la Russia e il rischio di escalation (da evitare). Parla Formentini

Si allarga il fronte dei Paesi favorevoli all’utilizzo delle armi, da parte di Kyiv, per colpire obiettivi anche su suolo russo. Il governo italiano ha invece una posizione diversa perché teme il rischio di un’escalation nel conflitto. Eliminando le limitazioni, la recrudescenza potrebbe accentuarsi pericolosamente. In Medio Oriente preoccupa la situazione di Rafah, ma il tentativo di genocidio è stato perpetrato dai terroristi di Hamas. Colloquio con il vicepresidente della Commissione Esteri, Paolo Formentini

Dopo Jans Soltenberg, è arrivato Josep Borrell. Dopo un’iniziale tiepidezza, arriva anche l’allineamento della Germania alla Francia. E, proprio in queste ore, il viceministro della Difesa polacco Cezary Tomczyk si aggiunge alla lista di favorevoli all’utilizzo, da parte di Kyiv, di armi per colpire la Russia. Tra l’altro, il presidente Usa Joe Biden – stando a un’indiscrezione del Washington Post – starebbe valutando l’ok a Kyiv per usare le armi Usa in Russia e di punire la Cina per aver fornito tecnologie a Mosca. Il governo italiano, per il momento, ha una posizione piuttosto differente. Da Giorgia Meloni a Matteo Salvini, passando per il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, hanno chiarito che la linea rossa delle limitazioni all’uso difensivo delle armi non deve essere valicato. “Questo non significa non sostenere l’Ucraina, ma evitare il rischio di un’escalation”. A parlare a Formiche.net è il deputato della Lega, Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Esteri alla Camera.

Formentini, lei è di ritorno da Sofia dove l’assemblea parlamentare della Nato ha approvato un documento a favore del sostegno all’Ucraina. Eppure le sensibilità, sull’utilizzo delle armi – a maggior ragione dopo l’uscita di Stoltenberg – stanno cambiando. 

A Sofia abbiamo approvato un documento a favore dell’Ucraina perché tutti noi siamo favorevoli ad appoggiare Kyiv. Tant’è che, anche come Lega, abbiamo sempre votato favorevolmente tutti i provvedimenti per inviare armi e aiuti. D’altra parte, però, proprio a Sofia abbiamo bocciato un emendamento attraverso il quale si voleva autorizzare l’utilizzo di armi a scopo offensivo e non solo difensivo. Anche noi, ci siamo esposti apertamente in modo contrario.

Come spiega la linea del governo a fronte di altri partner europei che invece paiono essere molto favorevoli?

La linea del governo è quella che è stata espressa, per primo, dal nostro segretario federale Matteo Salvini: autorizzando l’uso di armi a scopo offensivo, il rischio che ci sia un’escalation è altissimo. Più limitazioni si tolgono, più linee rosse si valicano, più aumenta la probabilità di una recrudescenza del conflitto.

L’allineamento Scholz-Macron come lo legge?

C’è stato un cambiamento di rotta in corsa da parte della Germania. Inizialmente Scholz non aveva sposato la linea “interventista” di Stoltenberg e Macron. Poi, evidentemente qualcosa ha fatto variare la linea. Comunque, l’Italia non può restare inascoltata anche perché – in particolare alla Francia – ci lega il trattato del Quirinale che, tra le altre cose, presupporrebbe un confronto tra i due Paesi anche sui temi legati alla Difesa. Ma, evidentemente, così non è accaduto.

Nel Pd stanno facendo discutere le parole di Tarquinio sulla Nato. 

Premesso che si tratta di polemiche interne a un altro partito, mi sembra chiaro che mai come ora ci sia invece l’urgenza di tenere unita e compatta la Nato come baluardo di difesa non solo dell’Italia ma dell’Occidente intero. Per questo abbiamo stigmatizzato la posizione di Stoltenberg: le divisioni, adesso, si possono rivelare molto dannose.

A fronte di quanto accaduto a Rafah, l’Ue sta valutando un pacchetto di sanzioni verso Israele. Quale è la vostra posizione su questo?

Il protrarsi delle operazioni militari a Gaza preoccupa. Peraltro, presiedendo il protocollo di collaborazione tra Camera e Knesset, il contatto è costante. Penso però che, valutando la situazione che si sta profilando, non ci si debba mai dimenticare cos’è stato il sette ottobre e soprattutto non ci si deve dimenticare che ancora molti ostaggi sono nelle mani dei terroristi. C’è stato il tentativo di un genocidio da parte di Hamas e un duplice sabotaggio: agli Accordi di Abramo – presupposto imprescindibile per qualsiasi ipotesi di pace – e all’infrastruttura strategica Imec.

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