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La Russia in Libia mira all’Africa (e all’Occidente). Conversazione con Collombier

Per la docente della Luiss, l’obiettivo della Russia in Libia è sia quello di seminare una narrazione anti-occidentale sia di approfondire le proprie attività in Africa (e i due scopi non sono divisi)

Un funzionario del dipartimento di Stato corrobora ad Agenzia Nova quello che il progetto investigativo All Eyes On Wagner (Aeow) ha pubblicato nei giorni scorsi: la Russia sta usando la Libia come piattaforma logistica e geopolitica per sostenere la propria presenza in Africa, che si compone anche di operazioni di destabilizzazione come quelle in atto nel Sahel. I dati forniti da Aeow nei giorni scorsi — 1.800 uomini dell’Africa Corps russi sono attualmente dislocati tra Cirenaica e Fezzan —  confermano ricostruzioni che mesi fa erano state anticipate anche da Formiche.net. Dinamiche frutto anche di quelle che Karim Mezran, direttore della North Africa Iniziative dell’Atlantic Council, definiva “disattenzioni” di Stati Unti e Unione Europea.

“Dal 2014, la Russia ha dimostrato di saper capitalizzare le opportunità emergenti per promuovere i propri interessi in Libia. Non perché la Libia occupi un posto centrale nella politica estera e di sicurezza della Russia. Tuttavia, espandendo la propria influenza in Libia, Mosca sfida direttamente le potenze occidentali e la Nato sul loro fianco meridionale, stabilendo al contempo un punto d’appoggio strategico per le proprie attività nel continente africano”, spiega Virginie Collombier, coordinatrice scientifica della Piattaforma Mediterranea, presso la School of Government della Luiss Guido Carli.

“Sebbene gli obiettivi specifici che la Russia sta perseguendo in Libia rimangano ambigui, le intuizioni dell’ultimo decennio suggeriscono che probabilmente cercherà di sfruttare a proprio vantaggio il caos regionale e la relativa apatia e perdita di credibilità dell’Occidente”, aggiunge in una conversazione con Formiche.net.

Secondo la professoressa, potrebbe trattarsi di sostenere una nuova offensiva del capo miliziano di Bengasi Khalifa Haftar, oppure di incrementare l’attività militare nel Sahel, mentre “nonostante il vuoto diplomatico in corso dopo le dimissioni dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, Abdoulaye Bathily, sembra improbabile che la Russia cerchi di guidare un nuovo processo diplomatico. È invece probabile che Mosca si concentri sull’ulteriore consolidamento della propria posizione nella regione e, di conseguenza, sull’aumento della sua capacità di porre sfide alle potenze occidentali”.

Per quanto riguarda il sostegno russo a Haftar, in piedi — con forme diverse più o meno esplicite — quasi da un decennio: gli attori occidentali hanno sbagliato a considerarlo un interlocutore valido? “L’approccio delle potenze occidentali nei confronti di Haftar è stato problematico per diverse ragioni. In particolare, corteggiando il generale dell’Est, hanno rivelato le forti contraddizioni tra le politiche basate sui valori che professano e il loro effettivo approccio transazionale alla politica libica”, risponde Collombier.

“Questo è esemplificato dai francesi — continua — che hanno ufficialmente affermato di sostenere il processo politico guidato dalle Nazioni Unite e contemporaneamente hanno fornito assistenza militare alle Libyan National Army (la milizia di Haftar, ndr). Più di recente, gli sforzi dell’Italia per assicurarsi la cooperazione di Haftar per il controllo dell’immigrazione in cambio di sostegno materiale hanno evidenziato la duplicità delle azioni occidentali (opporsi a una soluzione militare del conflitto e fornire al contempo sostegno diretto a uno dei principali signori della guerra)”.

Per la docente della Luiss, questa incoerenza non è passata inosservata in Libia e altrove, danneggiando in modo significativo l’immagine e la reputazione delle nazioni occidentali. “Al contrario, le politiche della Russia in Libia dal 2014 sono state caratterizzate dalla coerenza. La strategia di Mosca si è concentrata sul cogliere le opportunità emergenti e sull’utilizzo del potere duro a sostegno di Haftar e delle sue forze armate. Durante le guerre civili del 2014 e del 2019, la Russia ha sfruttato l’aumento dell’instabilità, l’indecisione e l’inefficacia delle potenze occidentali. La chiara decisione di Mosca di sostenere la fazione che si allinea alla sua visione di ripristino del potere e dell’ordine è stata fondamentale per estendere il suo controllo su infrastrutture strategiche, tra cui basi militari e installazioni petrolifere, nella parte orientale e meridionale del Paese”.

Ad oggi, però l’espansione dell’influenza della Russia in Libia non è attribuibile esclusivamente all’esercizio del potere duro. “Sì, Mosca mobilita sempre più efficacemente la sua narrativa contro le potenze occidentali per influenzare la ‘maggioranza global’. Questa narrazione mette a nudo la doppiezza e i doppi standard dell’Occidente, facendo luce sulle conseguenze disastrose delle sue politiche in Libia, in Medio Oriente e nel Sahel. Dopo oltre un decennio di violenza e instabilità nella regione, e sullo sfondo delle guerre in Ucraina e a Gaza, questo discorso sembra risuonare più profondamente nelle società locali. La diminuzione della credibilità delle potenze occidentali è ulteriormente rafforzata dalla percezione prevalente che gli Stati Uniti e gli Stati europei siano rimasti in gran parte passivi nel mezzo delle crisi, in netto contrasto con l’assertività militare e diplomatica percepita dalla Russia”.



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