In Italia nel maggio 2022 il 42,6 % delle mamme tra i 25 e i 54 anni non era occupata e il 39,2% con due o più figli minori disponeva di un contratto di lavoro part-time. Negli altri Paesi, in alcuni va un po’ meglio, in altri peggio. L’intervento di Giorgio Girelli, coordinatore del Centro Studi Sociali “A. De Gasperi”
La Festa del Lavoro offre l’opportunità di ricordare tappe significative della complessa e accidentata “lunga marcia” dei lavoratori e soprattutto delle lavoratrici per ottenere adeguate opportunità di occupazione, in sicurezza e con dignitose retribuzioni.
La neonata Repubblica esordì in materia approvando l’articolo 37 della Costituzione che recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Tappa “storica” di questo percorso fu la legge 26 agosto 1950, n. 860 sulla “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”. Essa rappresentava un forte stacco rispetto al passato perché: dava corso alla attuazione della Costituzione; segnalava come nel dopoguerra il rilievo riconosciuto alle donne era un dato di fatto; perseguiva l’intento di una disciplina più organica di tutta la materia; tendeva, nei limiti oggettivamente consentiti, ad una remunerazione adeguata al costo della vita.
“Padre” del provvedimento, che registrò il concorso anche del progetto di legge comunista in tema di “Tutela della maternità”, fu l’allora ministro del lavoro Amintore Fanfani, lo stesso statista cui si deve in Costituzione la definizione dell’Italia quale “Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Come ricorda in un saggio la professoressa di storia economica della Sapienza Angela Maria Bocci “i punti fondamentali della legge, in termini sintetici, riguardavano il divieto di licenziamento dall’inizio della gestazione fino al compimento del primo anno di età del bambino; il divieto di adibire le donne in gravidanza al trasporto e al sollevamento di pesi o a lavori pericolosi; l’obbligo all’astensione dal lavoro nei tre mesi precedenti il parto e nelle otto settimane successive. Inoltre venivano previsti periodi di riposo per l’allattamento nonché – elemento fondamentale – il trattamento economico durante le assenze per maternità”. Traguardi non da poco tenendo conto delle gracili condizioni economiche del Paese di allora.
La relazione generale sulla situazione economica del Paese presentata dal ministro del tesoro Pella alla Camera il 30 gennaio 1950 evidenziava infatti che le difficoltà strutturali della economia italiana dopo il secondo conflitto mondiale si erano aggravate. Inoltre, con il ministero del tesoro a Gustavo del Vecchio e con le finanze a Pella, il neoministro del lavoro e della previdenza sociale Amintore Fanfani si trovò a dover fare i conti con un gabinetto a egemonia liberista che, pur con alcune differenziazioni, tendeva a contenere la linea riformista della sua politica del lavoro ispirata ai principi della dottrina sociale cristiana.
Successivamente, nel febbraio 1962, Fanfani, inserì negli impegni programmatici del suo nuovo governo anche quella che diventerà la legge n.7/1963 che vietava il licenziamento delle donne per causa di matrimonio.
E oggi? In Italia nel maggio 2022 il 42,6 % delle mamme tra i 25 e i 54 anni non era occupata e il 39,2% con due o più figli minori disponeva di un contratto di lavoro part-time. Negli altri paesi, in alcuni va un po’ meglio, in altri peggio.
Non è comunque senza significato che il 9 ottobre 2023 L’Accademia delle Scienze di Stoccolma ha deciso di assegnare il premio Nobel per l’economia a Claudia Goldin (in foto), storica dell’economia, economista del lavoro, docente dell’università di Harvard, che ha dedicato tutta la sua ricerca scientifica allo studio della condizione femminile nel mondo del lavoro.