L’ipotesi di inviare truppe francesi in Ucraina è realistica. Macron mira a difendere non solo l’integrità di uno stato invaso, ma anche i principi democratici minacciati dall’invasione russa. Di qui il richiamo, nel suo recente discorso alla Sorbona, alla necessità che l’Europa si doti di strumenti di difesa comune e di una visione strategia anche autonoma rispetto agli Usa. Conversazione con il docente della Luiss, Darnis
L’intervista del presidente francese Emmanuel Macron all’Economist è in qualche modo uno spartiacque. Tant’è che il forte dibattito che hanno innescato le sue parole sull’ipotesi di inviare delle truppe francesi in Ucraina, sta facendo discutere. Tuttavia, come sostiene Jean-Pierre Darnis, professore di Storia contemporanea alla Luiss di Roma e di Storia delle relazioni italo-francesi all’Università di Nizza nella sua intervista a Formiche.net, “si tratta di una posizione già espressa qualche tempo fa dal presidente. E, tra l’altro, è un’ipotesi che circola in alcuni discorsi tra membri della Nato”.
Darnis, realisticamente, è immaginabile che questa ipotesi prenda corpo?
A determinate condizioni sì. Macron sta, in una certa misura, dando voce a una posizione molto più diffusa di quanto non si pensi. Lui supera una certa riluttanza e dice a chiare lettere che l’ipotesi di inviare truppe francesi in Ucraina non è da escludere. Certo, dipende dal contesto.
Il presidente russo Putin ritiene le parole di Macron “molto pericolose”. Quali sarebbero secondo lei i presupposti per l’invio effettivo di truppe francesi in Ucraina?
Certe linee rosse non devono essere valicate dalla Russia, secondo la prospettiva francese. Lo “sfondamento”, come ha specificato lo stesso inquilino dell’Eliseo, non può essere concesso. Non solo la Russia è una potenza aggressiva, che calpesta i diritti e che ha invaso un Paese sovrano, ma per l’Europa, se dovesse sfondare e arrivare a minacciare altre aree – dalla Polonia ai Baltici – sarebbe un pericolo troppo grave da correre. In questa chiave, va interpretata la presa di posizione di Macron. D’altra parte, anche Hollande – nel 2015 – si dichiarò pronto a inviare truppe francesi in Siria per contrastare l’Isis.
Sotto il profilo politico, come va letta questa linea interventista?
Ci sono due profili, quello interno e quello più legato alla dimensione europea. Internamente, quello di Macron – anche in chiave anti Le Pen, per tentare di arginare l’avanzata del Rassemblement National – è un modo per tentare di recuperare terreno e di svegliare un sentimento di affezione verso i valori europei che in qualche misura lui rappresenta.
Sul piano europeo, cosa “incasserà” Macron?
La sua è una posizione che può essere vantaggiosa anche sul piano europeo e sicuramente colloca la Francia come Paese che apre un dibattito su un rischio concreto – su questo c’è massima condivisione – e che va analizzato e fronteggiato. Senza contare che, legittimamente, Macron stia pensando anche di ricavarsi un ruolo di rilievo a Bruxelles in vista della prossima tornata elettorale. Quella del 2029.
Nel suo discorso alla Sorbona, il presidente francese ha messo in fila una serie di elementi tra difesa comune e autonomia strategica che lui ritiene prioritari per evitare la “morte” dell’Europa. Qual è il messaggio?
Mi sembra una posizione, ancora una volta, molto chiara e che fotografa il contesto geopolitico in maniera estremamente lucida. La nozione di potenza europea, di difesa comune – anche autonoma dagli Usa – indicate da Macron si muovono in un solco molto preciso, in passato lambito anche da Chirac. Il richiamo alla necessità di adottare strumenti di difesa comune, così come strumenti economici e di competitività – temi che ricalcano la linea di Mario Draghi – sottendo in realtà a un visione che attiene più che altro alla sfera valoriale. Secondo Macron, va preservato l’umanesimo sociale europeo. In definitiva, i sistemi democratici oggi messi in serio pericolo. E, una delle principali minacce, è proprio l’invasione russa dell’Ucraina.