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Mar Rosso, l’aspetto penale della minaccia ai traffici marittimi spiegato da Caffio

Gli attacchi alle navi nel Mar Rosso da parte degli Houthi possono essere considerati crimini di guerra? Se lo chiede l’ammiraglio Fabio Caffio, secondo cui si tratta, secondo le leggi vigenti, di atti illeciti ma non di war crimes. Tutti i dettagli

Di crimini di guerra si parla molto ora che, in relazione all’aggravarsi dei conflitti in corso in Ucraina e Gaza, la Corte Penale Internazionale (CPI) sta assumendo iniziative giudiziarie contro i responsabili di violazione “agli usi ed alle leggi di guerra”. Un recente convegno organizzato dal Gruppo Italiano dell’International Society for Military Law and the Law of War dedicato a questo tema ci induce a riflettere anche sulla situazione nel Mar Rosso. Com’è noto vari mercantili e navi da guerra sono stati attaccati dalla fazione ribelle degli Houthi da postazioni a terra lungo la costa yemenita a nord di Bab el Mandeb. Le azioni aggressive, condotte con droni e missili, sono state neutralizzate dalle Forze navali operanti in zona, vale a dire il dispositivo a guida statunitense di Prosperity Guardian e quello della missione Eunavfor Aspides. Ad essere bersagliate sono state anche navi mercantili di società italiane e le Unità della nostra Marina “Duilio” e “Fasan” impegnate nell’ambito di Aspides.

Visto il carattere sistematico di tali azioni ostili, c’è da chiedersi quale sia il contesto giuridico entro cui si collocano: esse prendono infatti di mira Paesi “terzi” come l’Italia, anche se l’obiettivo principale pare sia Israele i cui interessi marittimi sono colpiti come reazione alla crisi di Gaza.

Nell’ambito di un conflitto armato la violenza è consentita a condizione che sia esercitata da un “legittimo combattente”, nel rispetto dei principi stabiliti per la condotta delle ostilità. Quando le violazioni a tali principi intacchino valori universali come la protezione dei civili divenendo gravi infrazioni si configurano war crimes previsti dall’art. 8 dello Statuto della CPI. Per restare nel campo marittimo, va considerato ad esempio che la stessa CPI, lo scorso marzo, ha emesso un mandato d’arresto contro l’ammiraglio Sokolof, comandante della Flotta Russa del Mar Nero, per aver ordinato attacchi contro infrastrutture energetiche ucraine che hanno causato danni estesi e ingiustificati alla popolazione civile.

Prendere di mira un mercantile – come gli Houthi fanno – è un atto illecito ma non un war crimes. Può però diventarlo se inserito in un sistematico ed indiscriminato attacco al traffico commerciale che prescinda da procedure di accertamento del coinvolgimento in assistenza al “nemico”. Il problema è però che gli Houthi non potrebbero esercitare nemmeno i diritti riconosciuti ai belligeranti in quanto, essendo degli “insorti” nell’ambito di un conflitto interno, non ne hanno la titolarità. E dunque che risposta possono adottare i Paesi “terzi” di fronte a potenziali crimini marittimi?

In teoria, se lo Yemen avesse accettato la giurisdizione della CPI, potremmo pensare a eventuali future iniziative giudiziarie contro i responsabili. In pratica, a livello internazionale, c’è solo l’attività di deterrenza svolta dalle Unità navali Ue in aderenza alla risoluzione 2722 (2024) del CdS delle Nu.

Il fatto è che la deterrenza – come insegna la crisi della pirateria somala iniziata nel 2008 – da sola non basta in quanto deve accompagnarsi all’esercizio della giurisdizione penale secondo l’art. 105 della Convenzione del diritto del mare. Gli Houthi non sono tuttavia pirati perché operano per fini politici in un contesto che esula dall’ordinario diritto del mare. Cosa può fare dunque sul piano penale un Paese come l’Italia le cui Unità di bandiera – benché non sia in guerra con gli Houthi – sono attaccate in mare?

In realtà, nella nostra legislazione ci sono già delle norme di salvaguardia che configurano una giurisdizione universale italiana. Il nostro Codice penale militare di guerra – il quale, secondo il suo art. 165, si applica alle Forze armate italiane operanti all’estero in qualsiasi situazione definibile come “conflitto”- prevede una specifica fattispecie di reato che sembra attagliarsi alla casistica del Mar Rosso. L’art. 167 punisce difatti “Chiunque compie atti di guerra contro lo Stato italiano o a danno delle sue forze armate od opere o cose militari, senza avere la qualità di legittimo belligerante…”. Se non si ritenesse applicabile tale ipotesi punitiva, si potrebbe inoltre far ricorso al crimine di terrorismo che è relativo – secondo l’art. 270 bis CP – agli “atti di violenza con finalità di terrorismo” condotti anche contro uno Stato estero. L’importante è convincersi che in un periodo di pace sempre più violenta come quello attuale, alle varie armi usate per difesa va aggiunta l’arma del diritto.


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