L’imprenditore ha fatto presente il suo interesse, pur essendo consapevole che l’azienda cinese non si priverà della sua formula magica. Per lui andrebbe bene così, “perché stiamo pensando a un’architettura differente” capace di rivoluzionare Internet. Non è l’unico a mettere gli occhi sulla piattaforma. Ma per nessuno sarà facile riuscire nell’intento
C’è un compratore interessato, il miliardario Frank McCourt, e un’azienda strategicamente rilevante chiamata a vendere se vuole continuare a operare negli Stati Uniti, TikTok. La notizia dell’interesse del proprietario del real estate McCourt Global, nonché ex patron dei Los Angeles Dodgers che ha costruito la sua fortuna nel settore immobiliare, è subito rimbalzata da una parte all’altra. Il motivo che lo spingerebbe ad avanzare un’offerta (non ancora pervenuta) è la sua curiosità riguardo il ruolo e l’impatto della tecnologia. “TikTok rappresenta il meglio e il peggio di Internet perché mette in contatto 170 milioni di persone (americane, ndr) e consente loro di essere creativi, divertirsi e fare cose”, ha dichiarato il settantenne. Allo stesso tempo però, l’applicazione “non permette loro di valorizzare quello che danno, mentre i loro dati vengono raccolti, rubati e spediti in Cina”.
Ragion per cui, se mai dovesse diventare il nuovo capo, cambierebbe radicalmente la struttura della piattaforma. “Dubitiamo che la Cina venda TikTok con l’algoritmo”, ha spiegato in un’intervista al New York Times. “Ma noi non lo vogliamo, perché stiamo pensando a un’architettura differente, a una modalità diversa di pensare a Internet e come opera”. La forza dell’app di ByteDance, ha aggiunto, “non riguarda l’algoritmo” ma gli utenti che sono iscritti e i contenuti che creano. Già in passato l’imprenditore si era scagliato contro il controllo delle Big Tech sui dati sensibili delle persone, tanto da lanciare il Project Liberty per cercare di risolvere il problema. Una sua acquisizione ridarebbe dunque alle persone “il controllo delle loro identità e dei loro dati”. Tuttavia, in questo caso specifico, potrebbe incontrare diverse difficoltà.
Per cercare di capire come muoversi, McCourt si è messo in contatto con alcuni accademici – come Jonathan Haidt, che ha scritto il libro “The Anxious Generation”, ovvero in che modo gli smartphone hanno influito sulla salute mentale dei più giovani. Ad ogni modo, manca ancora una lista di coloro che dovrebbero co-partecipare all’operazione, per cui si prevedono cifre da capogiro, e l’indicazione su dove andrebbe a reperire il capitale necessario.
Non si tratta di voci o speculazioni. L’interesse è concreto e non è l’unico. Anche l’ex segretario al Tesoro durante l’amministrazione di Donald Trump, Steven Mnuchin, stava cercando di creare una coalizione per acquistare TikTok in quanto “dovrebbe essere di proprietà statunitense”. Americano è d’altronde anche Bobby Kotick, ex amministratore delegato di Activision Blizzard, anche lui inizialmente interessato all’acquisto. Americano è anche Sam Altman, ceo di OpenAI, il cui nome è stato associato all’operazione, così come americane sono le aziende Microsoft e Walmart, che potrebbero giocare un ruolo in questa partita. Sebbene canadese, parteciperebbe alla corsa anche Kevin O’Leary, a capo dell’omonima società di venture capital. Come ricordato da Repubblica, è l’unico che ha parlato di cifre (20-30 miliardi di dollari) e uno dei più realisti insieme a McCourt: “Una potenziale acquisizione di TikTok potrebbe dover escludere il loro algoritmo”, aveva dichiarato.
Il succo della storia sta tutto qui. Il governo guidato da Joe Biden ha notificato un mese fa a ByteDance che dovrà vendere il proprio strumento entro i prossimi otto mesi, salvo essere silenziata per sempre negli Stati Uniti. I due ricorsi contro la Casa Bianca – mosso prima dalla stessa società e poi da un gruppo di creator civili, con TikTok che starebbe coprendo le loro spese legali – si basano entrambi sulla violazione del Primo Emendamento della Costituzione e rallenteranno la procedura di espulsione o di vendita.
Ciononostante, è già complesso immaginare che l’azienda possa privarsi di uno strumento che secondo molti esperti influenza e studia la società rivale. Che lo faccia rivelando anche la ricetta segreta che alimenta la sua macchina, quale l’algoritmo, ad oggi sembra impossibile. Piuttosto, è più probabile che faccia le valigie e sbatta la porta.