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Meglio Stoltenberg delle anime belle pacifiste. L’analisi di Arditti

Il ragionamento del Segretario Generale della Nato è solo in apparenza miope e bellicista. In realtà prende atto del fatto che l’unico modo per portare la Russia al tavolo della trattativa e quello di imporglielo con la forza. L’analisi di Roberto Arditti

Sta facendo discutere non poco l’intervista del Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg, all’Economist, probabilmente ottenendo così l’effetto da lui desiderato. Il punto centrale è presto detto: abbandonare la dottrina sin qui seguita nell’utilizzo delle armi fornite dai Paesi Nato all’Ucraina, che prevede la possibilità di utilizzarle pressoché esclusivamente nel teatro di guerra in territorio ucraino, senza colpire obiettivi collocati all’interno dei confini della Federazione Russa.

Ora possono entrare in questo discorso molte considerazioni di carattere politico, lo capisco, come si vede dalle reazioni italiane (Salvini, Tajani e molti altri). Però bisogna dire che sotto il profilo militare il ragionamento di Stoltenberg è sensato. E chi lo nega o non ha la più pallida idea di come funzionano davvero queste vicende (oppure parla in malafede). La spiegazione è presto fatta: di fonte alle ripetute offensive con ogni mezzo disponibile condotte dalle forze armate russe in questi due anni è semplicemente impensabile rispondere con limiti di sorta, che non siano dettati dalle convenzioni internazionali.

Quindi è del tutto ragionevole cercare di colpire obiettivi militari o di servizio alle forze di combattimento o rilevanti sotto il profilo logistico anche oltre confine, per il semplice fatto che proprio quei siti sono essenziali al funzionamento delle divisioni russe. Ciò è particolarmente vero nella zona nord del fronte, dove le distanze tra Il teatro di guerra e il territorio russo sono di pochi chilometri e dove, quindi, tutte le strutture di appoggio alle divisioni impegnate nei combattimenti si trovano oltre confine.

Anche perché, contrariamente a quanto dicono o scrivono le molte anime belle in servizio permanente effettivo che si occupano della materia con scarsa cognizione di causa, se c’è una possibilità concreta di giungere ad un cessate il fuoco (non dico a una pace, che è obiettivo allo stato difficilmente praticabile) essa dipende da un solo elemento concreto: l’equilibrio reale e prolungato delle forze in campo, per raggiungere il quale occorre rendere evidente anche ai comandi militari russi che l’opposizione ucraina è in grado di fare ancora più male di quanto non le sia riuscito fin qui.

Parliamoci chiaro una volta per tutte. Il bilancio politico/militare dell’invasione iniziata a febbraio 2022 è in realtà abbastanza semplice ed è così riassumibile.

Punto primo: gli obiettivi del Cremlino sono sostanzialmente falliti, poiché a Kiev è in piedi lo stesso governo di allora (che nei piani russi doveva crollare in 72 ore) e perché la porzione di territorio conquistata e oggi esattamente quella di due anni fa, (anzi, per essere precisi, è oggi meno abbondante di quella ottenuta a maggio 2022).

Punto secondo: sul piano politico ed economico la Russia è in piedi (contro molte previsioni assai superficiali circolate in Europa per mesi) ma si trova costretta a giocare con atteggiamento riverente verso Cina e India (gli unici mercati in grado assorbire a prezzi decenti gas e petrolio russi) e deve misurarsi con gli effetti non tutti semplici da gestire di una pressoché totale conversione della propria industria pesante in chiave militare: nel breve fa crescere il Pil ma poi se ne pagano i prezzi, che sono finanziari In primis , ma anche imponenti sotto il profilo delle produzioni per uso civile. Dopodiché tutti quelli che parlano di una Russia ridotta ai minimi termini sbagliano clamorosamente analisi. E per capirlo basta guardare la cartina geografica e vedere la porzione di terre emerse che fanno parte della Russia moderna.

Punto terzo: Al Cremlino è iniziato il nuovo mandato presidenziale di Vladimir Putin che ne segna, ancora una volta, l’assoluta permanenza al vertice, accompagnata però da tensioni fortissime nel gruppo dirigente, come reso evidente con la sostituzione del ministro della Difesa Shoigu, lo spostamento dello storico consigliere per la sicurezza Patrušev ed i clamorosi arresti ai vertici delle forze armate (che non hanno precedenti nella storia russa dopo la caduta del muro).

Sconvolgimenti negli assetti di potere che finiscono per dare ragione alle critiche dell’indimenticabile Prigozhin, tolto di mezzo alla maniera russa ma non per questo consegnato all’oblio. Egli, principe dei corrotti e dei corruttori, aveva osato l’inosabile, cioè criticare i vertici militari e politici incaricati di condurre la guerra (o meglio l’operazione speciale come si continua a chiamarla a Mosca). Ebbene quelle critiche gli sono costate la vita ma i massicci cambiamenti voluti da Putin nelle ultime settimane dimostrano che Prigozhin diceva la verità (e che il Capo, tutto sommato, gli ha sempre creduto).

Punto quarto: dal punto di vista di Zelens’kyj le cose stanno così. L’Ucraina è in piedi ma in condizioni economiche estremamente difficili nonché quasi totalmente dipendente sul piano militare dall’assistenza internazionale. Inoltre gli obiettivi di riconquista dei territori oggi sotto il controllo russo sono pressoché impossibili da raggiungere. In buona sostanza il meglio che possono fare le forze armate ucraine è tenere le posizioni attuali.

Comunque la pensi chi ragiona come Alessandro Orsini quindi è l’equilibrio delle forze in campo che potrà determinare un’evoluzione non dico pacifica, ma almeno a bassa tensione negli anni a venire. Per raggiungere questo scopo occorre una consapevolezza (soprattutto a Mosca) che l’allungamento della guerra può costare prezzi enormi, mentre invece a tutt’oggi al Cremlino prevale la convinzione secondo la quale Nato e Unione Europea finiranno a breve per stancarsi. Insomma la scommessa di Putin è nella tendenza occidentale ad abbandonare le missioni militari dopo un certo tempo (e diversi episodi degli ultimi anni gli danno ragione Afghanistan in testa).

Ecco quindi il senso del ragionamento di Stoltenberg, che solo in apparenza è un ragionamento miope e bellicista. Ma che in realtà prende atto del fatto che l’unico modo per portare la Russia al tavolo della trattativa e quello di imporglielo con la forza.



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