Skip to main content

Meloni riceve Abdullah II. Perché Italia e Giordania saranno strategiche per la crisi a Gaza

Punto di partenza del dialogo è la Risoluzione 2728 del Consiglio di Sicurezza Onu, base su cui costruire l’auspicio comune: continuare con gli sforzi diplomatici in corso per un cessate il fuoco sostenibile e il rilascio dei prigionieri. Amman ha rapidamente assunto un peso diverso rispetto allo scorso decennio e assieme a Egitto e Turchia compone una sorta di triumvirato del dialogo che recita un ruolo non secondario nell’economia complessiva della macro area che intreccia Mediterraneo, Africa e Medio Oriente

Giorgia Meloni ricevendo il Re Abdullah II di Giordania prosegue la sua interlocuzione con un Paese strategico alla voce geopolitica e Piano Mattei. Non sfugge che Amman ha visto evolversi non poco la propria posizione sia nello scacchiere internazionale, che nella specifica area a cavallo tra Africa e Medio Oriente e la concomitante emergenza a Gaza attribuisce al Paese un ulteriore scatto di rilevanza alla voce corridoi umanitari. Nella concezione geopolitica italiana, infatti, Amman è esempio di politiche moderate, di modernizzazione e liberalizzazione economica.

Qui Chigi

Punto di partenza del dialogo tra il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e il Re Abdullah II di Giordania è la Risoluzione 2728 del Consiglio di Sicurezza Onu, base su cui costruire l’auspicio comune: ovvero continuare con gli sforzi diplomatici in corso per un cessate il fuoco sostenibile e il rilascio dei prigionieri. La situazione umanitaria è in cima ai pensieri di entrambi, con il ruolo cruciale svolto dalla Giordania e quello italiano nell’assicurare assistenza umanitaria alla popolazione civile. Secondo il premier italiano occorre lavorare per una de-escalation a livello regionale avendo come stella polare la Dichiarazione dei Leader G7 del 14 aprile scorso. Accanto a ciò spiccano le eccellenti relazioni bilaterali in vari ambiti, come l’Accordo sulla cooperazione e mutua assistenza in materia doganale, entrato in vigore il 1 marzo 2012, e l’Accordo di conversione del debito, entrato in vigore il 7 febbraio 2012.

Difesa

Da menzionare l’evento che lo scorso gennaio ha visto ad Amman la ventunesima edizione dei Bilateral Staff Talks tra Italia e Giordania a cui ha preso parte una Delegazione italiana guidata dal Generale di Brigata Alessandro Grassano, Vice Capo del III Reparto Politica Militare, e una Delegazione giordana guidata dal Colonnello Asem Mohammed Fawzi Hyasat, Assistant Chief of the International Cooperation Department of the Planning and Organization Directorate.

Difese e relazioni bilaterali tra i due Paesi sono state al centro del meeting, al termine del quale è stato sottoscritto il Piano di Cooperazione per il 2023, documento che racconta le singole attività bilaterali che le Forze Armate dei due Paesi terranno nel 2025.

Qui Gaza

Nelle ultime ore spicca la denuncia giordana, secondo cui due convogli umanitari di Amman sono stati danneggiati da coloni israeliani. Lo dice il portavoce del ministero degli Esteri della Giordania, Sufyan al Qudah, secondo cui “estremisti israeliani hanno attaccato due convogli umanitari giordani diretti a Gaza, scaricando il loro carico lungo le strade e causando danni significativi ai veicoli”. In una dichiarazione rilasciata all’emittente statale giordana “Al Mamlaka”, Al Qudah ha condannato fermamente “l’aggressione perpetrata dai coloni israeliani estremisti ai danni di due convogli umanitari giordani, trasportanti provviste alimentari, farina e altri aiuti essenziali. Uno dei convogli era destinato a Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom, mentre il secondo avrebbe dovuto entrare a Gaza tramite il valico di Beit Hanoun”.

Già due settimane fa il re di Giordania Abdullah aveva precisato che il suo Paese non sarebbe diventato un campo di battaglia per nessuna delle parti coinvolte nello scontro tra Israele e Iran e che la protezione dei suoi cittadini e la sovranità restavano due obiettivi fondamentali.

Il ruolo della Giordania

Amman ha rapidamente assunto un peso diverso rispetto allo scorso decennio: assieme a Egitto e Turchia compone una sorta di triumvirato del dialogo che recita un ruolo non secondario nell’economia complessiva della macro area che intreccia Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Lo dimostrano le costanti interrelazioni che corrono sull’asse Giordania-Stati Uniti, i ripetuti confronti con il segretario di Stato americano Antony Blinken per prevenire l’espansione del conflitto oltre Gaza, i timori di Amman sulle conseguenze dell’escalation in Cisgiordania come l’arrivo di un flusso massiccio di rifugiati palestinesi appena oltre frontiera, dove ci sono più di tre milioni di palestinesi su 11 milioni di cittadini.

Uno dei punti più significativi che riguardano il paese è la sua capacità di rimanere stabile e affidabile, nonostante sia circondato da fronti politici altamente tesi come Siria, Iraq, Palestina e Sinai che in teoria potrebbero riversare su Amman le conseguenze di quelle tensioni.

Energia

Anche l’energia gioca un ruolo alla luce dei grandi cambiamenti che hanno interessato il Mediterraneo orientale dopo le clamorose scoperte degli ultimi anni: da un lato il raddoppio del gasdotto Tap permetterà di aumentare flussi e consistenza, dall’altro l’isola-hub di Revithoussa in Grecia e i nuovi poli nell’Egeo e a Cipro fanno il paio con le iniziative targate Eni e Total in Libano.

La Giordania è inoltre presente nell’EastMed Gas Forum, assieme a Italia, Egitto, Palestina, Israele, Grecia, Cipro, Francia e tre osservatori esterni (Stati Uniti, Unione Europea e Banca Mondiale). Si tratta di uno strumento politico/diplomatico nato per facilitare lo sviluppo delle infrastrutture del gas naturale nel Mediterraneo orientale.

Istituito nel gennaio 2019, l’Emgf ha riunito ogni anno i ministri dell’energia dei paesi membri e dopo due anni di negoziati, i membri dell’Emgf hanno raggiunto un accordo nel giugno scorso per sviluppare Gaza Marine, un giacimento di gas naturale al largo della costa della Striscia di Gaza il cui sviluppo è stato contestato per decenni. La parte palestinese ha ottenuto “l’approvazione scritta” del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Ma la concomitanza con la guerra a Gaza ha messo tutto in stand by.

×

Iscriviti alla newsletter