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Alla ricerca del mercato unico. L’Europa che serve secondo Alfano, Fitto, Letta e Ricci

Presso la sede di BonelliErede a Roma il dibattito sul mercato unico e le sue lacune con Raffaele Fitto, Enrico Letta, Alessandra Ricci e Angelino Alfano. Perché per rispondere alla sfida cinese e competere con l’India, l’Europa deve smetterla di ragionare con logiche nazionali e unificare finanza, energia e trasporti

Sulla carta, è lo spazio di libera circolazione più grande del mondo, con quasi mezzo miliardo di consumatori. Il problema è l’architettura, solida in termini di buone intenzioni, ma ancora incompleta e lacunosa in termini di prodotto finale. E così l’Europa è ancora alla ricerca del suo mercato unico, fatto di unione di capitali, fiscale e anche bancaria. Tasselli, senza i quali non sarà possibile competere alla pari con le superpotenze americana e cinese. Il rischio è quello di esserne stritolata.

Nelle scorse settimane, unitamente a Mario Draghi, Enrico Letta, già premier, leader del Pd e tra gli economisti più apprezzati in Ue, incaricato dagli stessi governi dell’Ue, ha consegnato nella mani di Ursula von der Leyen e Charles Michel, rispettivamente presidente della Commissione europea e del Consiglio, il suo rapporto sulla competitività del Vecchio continente. Istruzioni per l’uso, o meglio, di sopravvivenza, in un mondo inevitabilmente condizionato dalla concorrenza sleale da parte della Cina e dall’esplosione demografica e industriale dell’India.

Letta nel suo programma di quasi 150 pagine, ha tentato di costruire un nuovo modello, da quello che c’è già a quello che dovrebbe essere, partendo dal concetto di mercato unico, del risparmio, dei trasporti, dei capitali. E nell’elencare le riforme necessarie ha fatto un esempio chiarissimo: che libertà di movimento c’è in Europa se non esiste un treno ad alta velocità che colleghi tutte le capitali? Oltre a parlare della necessità di attuare nell’Ue un Inflation reduction act (Ira) come sul modello di quello varato dall’amministrazione Usa di Joe Biden.

Non è un’idea isolata, da tempo diversi governi chiedono di proseguire sulla strada intrapresa con il Recovery fund, ossia dare a Bruxelles il compito di accaparrarsi risorse sui mercati dei capitali con l’emissione di eurobond e redistribuire tali soldi agli Stati, in particolare a quelli che fanno più fatica a investire perché impegnati a sistemare i conti e a rispettare il Patto di stabilità.

Di questo si è parlato ieri sera nel corso del dibattito, organizzato da BonelliErede presso la prestigiosa sede adiacente Piazza Cavour dello studio legale, L’Unione europea e le prospettive del mercato interno: il rapporto Much more than a market. Dopo i saluti di benvenuto (presenti in sala anche Gianni Letta e l’ex presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia) di Angelino Alfano, partner e leader del Focus Team Public International Law&Economic Diplomacy, BonelliErede, il dibattito è stato animato da Raffaele Fitto, ministro per gli Affari Europei, Enrico Letta e Alessandra Ricci, amministratore delegato di Sace, unitamente ai partner di BonelliErede, Eliana Catalano, Francesco Anglani e Claudio Tesauro.

“L’incarico che i capi di Stato hanno dato a Enrico Letta, quello di stendere il rapporto di cui parliamo in questa sede, è un qualcosa di straordinaria importanza”, ha premesso Alfano. Io credo che Letta stia portando avanti un ottimo lavoro: il rapporto Letta, si pone in continuità storica con l’evoluzione europea. Dal 1950 in poi, l’elemento essenziale dell’Europa è stata l’intuizione di mettere da parte i risentimenti della guerra, nel nome della pace. Il rapporto mette il dito su un punto cruciale, la libertà. Oggi siamo tutti abituati a persone che circolano liberamente in Europa, ma vogliamo rompere un incantesimo dove la Cina copia, gli Stati Uniti inventano e l’Europa regola. Il lavoro di Letta è il primo passo verso questa rottura”.

Il primo relatore a prendere la parola è stato proprio Letta. “Il rapporto che ho curato avrà un senso se i suoi messaggi usciranno e verranno fatti propri dall’Europa”, ha chiarito l’ex premier. “Ho cominciato lo scorso settembre un lavoro che partisse dai territori: ho visitato tutti i Paesi, parlato con gli imprenditori, i lavoratori. E lì mi sono accorto del grande problema che c’è in Ue sui trasporti. Se si vuole viaggiare da una capitale all’altra bisogna farlo in aereo, l’Alta Velocità ha ancora delle barriere, non si può andare in treno da una capitale all’altra dell’Ue. Cosa che invece si può fare in Cina. Manca, insomma, l’interconnessione, che è il sale del mercato unico ed è per questo che oggi stiamo perdendo velocità rispetto agli Stati Uniti”.

“Il rapporto vuole anticipare la legislatura delle azioni, che dovrà necessariamente partire dopo il voto di giugno. Veniamo da cinque anni di reazioni, alla pandemia, alla guerra, all’inflazione. Ma le reazioni hanno il respiro corto, mentre le azioni lo hanno più lungo. Ecco, la prossima legislatura dovrà essere una legislatura improntata all’azione, piuttosto che alla reazione”. Letta ha poi ricordato come uno dei pilastri del suo rapporto abbia come filosofia di fondo non solo quella di favorire l’osmosi tra 27 mercati diversi, ma anche di rispondere alle sfide della Cina, dell’India, che hanno una dimensione geopolitica gigantesca.

“Energia, mercati finanziari e trasporti sono l’emblema delle divisioni in Europa, settori dove ci sono 27 autorità di regolamentazione diverse. Possiamo pensare di competere con Cina e India con 27 mercati diversi? La risposta è no. Noi stiamo per entrare in una nuova legislatura europea, quale è la strategia dell’Europa? Ebbene, la vera questione è come finanziare questo grande cambiamento? La transizione costa, chi dice che non costa non sa di cosa parla. Ecco, la risposta che dobbiamo trovare è capire come possiamo finanziare questo mutamento di pelle dell’Europa”.

La palla è passata poi al ministro Fitto. “Credo sia importante soffermarsi su alcuni aspetti del rapporto, che è diagnosi e terapia su quelle che sono i malesseri e le soluzioni per l’Europa, indica molte criticità e l’esigenza di cambiare profondamente le scelte sul suo futuro. Mi sembra che questo noi, come governo, lo sosteniamo da molto tempo”, ha spiegato Fitto. Tuttavia, “la logica dell’emergenza, di cui Letta ha parlato, ha prodotto comunque dei risultati. Pensiamo all’energia, su cui comunque dei passi in avanti sono stati fatti. Pensiamo poi alla manovra. La prima finanziaria del governo Meloni valeva 32 miliardi, con risposte alla crisi delle famiglie e delle imprese, schiacciate dall’inflazione. Quelle risposte hanno avuto un senso. Ora dobbiamo lavorare con un orizzonte più ampio, certo, puntando all’autonomia strategica dell’Europa”.

“Se si mettono in campo investimenti, senza una dimensione europea, non c’è strategia. Se si investe nella transizione, tanto per fare un esempio, senza avere un’Europa capace di produrre da sola i pannelli solari, allora non si risolve nulla”. Fitto ha poi affrontato il delicato e divisivo tema del debito comune. “Il Recovery Plan ha dimostrato che si può fare. Dobbiamo però dare, se vogliamo replicare l’esperienza passata, una buona prova di capacità di spesa, dobbiamo essere convincenti e dotarci di una visione più ampia delle cose, oltre a una capacità di investimento affidabile. La partita è complessa”.

Fitto ha poi assicurato sulla data del 30 giugno per il raggiungimento degli obiettivi della sesta rata del Pnrr. “Noi oggi possiamo vantare dei risultati oggettivi se è vero come è vero che con la revisione abbiamo modificato più della metà degli obiettivi. Abbiamo raggiunto e abbiamo avuto come pagamento gli obiettivi della terza rata, abbiamo raggiunto e avuto il pagamento della quarta rata, abbiamo raggiunto gli obiettivi della quinta rata, lo dico nei giorni in cui siamo nella fase di verifica e di assessment degli ultimi dettagli, mi auguro che si possa a breve completare quest’iter e sono ragionevolmente ottimista per dire la rata del 30 giugno per il raggiungimento degli obiettivi della sesta rata sarà tranquillamente rispettata”.

Passando al punto di vista delle aziende, la ceo di Sace, Alessandra Ricci. “Uno dei temi è certamente quello dell’innovazione, unitamente alle capacità delle imprese italiane. Sappiamo che l’Italia è cresciuta negli ultimi 30 anni, ma soprattutto grazie all’export. D’altronde le aziende che stanno meglio sono quelle che esportano. Nel momento in cui un’impresa investe in innovazione e aumenta la capacità di esportare, ecco che incrementa la sua dimensione, innescando un circolo virtuoso. La domanda è, da dove si inizia? Si inizia dagli investimenti, per innovare ed esportare”, ha spiegato la manager. “L’Europa con 27 Paesi fa il 15% dell’export italiano, la Cina il 20%, solo un 5% ci separa. Pensiamo a cosa avverrebbe abbattendo le frontiere, le barriere interne all’Ue, sarebbe facile agguantare questo 5%. Questo per dire che c’è un grande potenziale in Europa ma va sfruttato. E il mercato unico va esattamente in questa direzione”.

Quanto al ruolo di Sace, “le politiche industriali funzionano più e meglio se puntano sulle interconnessioni tra digitalizzazione e sostenibilità ambientale. La chiamiamo la Twin Transition perché un fattore abilita e accelera l’altro. E crediamo che abbracciare la Twin Transition sia la condizione necessaria oggi per fare quel salto dimensionale che abilita la capacità di competere sui mercati globali. E Sace per tutto questo c’è. Abbiamo sostenuto 55 miliardi di euro di progetti al fianco di 50 mila imprese, la quasi totalità di dimensioni piccole e medie. Questo impegno ha generato un impatto sull’economia italiana pari a 145 miliardi di euro, consentendo di sostenere 950 mila posti di lavoro. Questo vuol dire che ogni euro investito da Sace genera un impatto tre volte superiore sul sistema produttivo”.



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